giovedì 20 settembre 2012

Il SIN di Taranto: vicenda giudiziaria Ilva, bonifica quartiere Tamburi mai effettuata, AIA Ilva, DL. 129/2012


IL SIN di Taranto: vicenda giudiziaria Ilva, bonifica quartiere Tamburi mai effettuata, AIA Ilva, DL. 129/2012.   

    I siti di interesse nazionale (SIN) sono regolati dall’art. 252 del decreto legislativo 152/2006, si        tratta di una particolare categoria di siti inquinati richiedenti attività di bonifica, ovvero siti che sono portatori di un interesse che travalica l’ambito locale o regionale. C’è un interesse nazionale che giustifica l’intervento dello Stato nella conduzione della procedura, infatti la competenza è attribuita al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. 
La Legge 9/12/1998, n. 426, all'articolo 1, disciplina la realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, anche al fine di consentire il concorso pubblico. Il comma 4 individua, tra i 57 siti di bonifica di interesse nazionale, quello di “Taranto”, atteso l'alto livello di inquinamento dell'area e l'elevata compromissione delle diverse matrici ambientali e conseguente pericolo per la salute della collettività. Il SIN di Taranto è stato poi perimetrato con Decreto del Ministero dell'Ambiente 10/1/2000.

Per quanto riguarda l'area di Taranto, è stato stipulato apposito Accordo di Programma in data 11 aprile 2008 e, successivamente, vi è stato un Protocollo d'Intesa sul SIN di Taranto il 5 novembre 2009.

Taranto dal 1961 “ospita” il più importante polo siderurgico d’Europa: l’Italsider, che dal 1988 muta la denominazione in “Ilva” a causa della messa in liquidazione del gruppo Italsider-Finsider.  Privatizzato nel 1995, oggi di proprietà del gruppo Riva, si estende per 15 milioni di metri quadrati ed occupa quasi 13 mila fra operai, impiegati e dirigenti.

L’Ilva di Taranto è da anni sul banco degli imputati per disastro ambientale e sanitario. Già dagli anni ‘90 con due delibere del Consiglio dei Ministri veniva dichiarato e confermato il territorio della provincia di Taranto quale “area ad elevato rischio ambientale”, e veniva approvato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto”.



La vicenda giudiziaria.

Il 26 luglio 2012 la procura di Taranto emette un provvedimento con cui il GIP Todisco dispone il sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico ILVA, ovvero l’area agglomerazione, i parchi minerali, le cokerie, l’area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi. Alle operazioni dovranno sopraintendere due funzionari dell’Arpa Puglia e uno dei dipartimenti di prevenzione dell’ASL di Bari che dovranno anche garantire il rispetto delle norme di sicurezza. Il GIP dispone gli arresti domiciliari per 8 indagati tra dirigenti ed ex dirigenti. Le accuse sono disastro doloso e colposo, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico.

         A gennaio 2012, nell’ambito dell’incidente probatorio, e’stata depositata la maxi   perizia sull’ILVA di circa 500 pagine effettuata dal pool di chimici Sanna, Monteguzzi, Santilli e  Felici dalla quale è emersa la realtà che gli abitanti di Taranto conoscono da anni “dallo stabilimento si diffondono gas, vapori, sostanze aeriformi e sostanze solide (polveri etc) contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all’interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e eventualmente di altri viciniori, con particolare riguardo a Benzo(a)pirene, Ipa di varia natura e composizione nonché diossine, Pcb, polveri di minerali”.

         Sulla questione è stata presentata anche una perizia epidemiologica che così conclude:

l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.

Il 3 agosto arriva un altro provvedimento del GIP, che dispone il risanamento degli impianti sequestrati ma senza prevedere alcuna facoltà d’uso degli stessi ai fini produttivi.

Il GIP revoca l’incarico di custode giudiziario al presidente dell’Ilva Bruno Ferrante per conflitto di interessi.

L’Ilva deposita due appelli ed una richiesta di incidente di esecuzione al Tribunale del Riesame di stabilire se il GIP fosse competente ad emettere le ordinanze impugnate per le quali viene richiesto l’annullamento. Secondo i legali dell’acciaieria, poteva emettere ulteriori provvedimenti solo il Riesame, che aveva confermato il sequestro degli impianti consentendo l’utilizzo “in funzione” della eliminazione delle situazioni di pericolo e dell’avvio di un monitoraggio in continuo.

Il 7 agosto 2012 il collegio del Riesame conferma gli arresti domiciliari per Emilio Riva, per il figlio Nicola e per un ex dirigente. L’attuale presidente viene nominato custode ed amministratore di aree e impianti. Vengono revocati i domiciliari per cinque degli otto dirigenti Ilva. Viene decisa la facoltà d’uso a patto che l’uso sia finalizzato alla bonifica e al risanamento ambientale. I custodi dovranno garantire la sicurezza degli impianti realizzando tutte le misure tecniche necessarie per eliminare situazioni di pericolo.

Nelle ultime ore i custodi giudiziari hanno dato l’ordine di avviare le procedure di spegnimento degli altoforni 1 e 5 e di tutte le batterie delle cokerie (ad esclusione della 7 e della 8) e la chiusura dell’acciaieria 1.

   

Tamburi: il quartiere dove i bambini non possono giocare e la bonifica mai effettuata.

L’area maggiormente esposta al rischio inquinamento è il quartiere periferico “Tamburi”situato a ridosso dell’industria siderurgica.

Nel 2010 al fine di procedere alla bonifica e messa in sicurezza del suddetto quartiere ai sensi dell’art. 242 dlgs. 152/2006, è stata eseguita la caratterizzazione da parte dell’Ing. Tommaso Farenga ed i risultati ottenuti hanno portato a denominare la zona ufficialmente ‘inquinata’. Si è parlato di berillio, presente in un quarto dei campionamenti fatti: un metallo pesante che nel suolo del quartiere supera del 30-40% (a seconda delle zone) il valore minimo preso in esame nell’Analisi di rischio –effettuata fino a 5 metri di profondità su 75 ettari di strade asfaltate e non- e che si è resa necessaria dopo i risultati della caratterizzazione.

I risultati dell’Analisi di rischio nello specifico hanno evidenziato “ un rischio totale per le sostanze cancerogene, scenario bambini, pari ad un valore che risulta essere non accettabile (3.86E-05 mentre 1E-05 è il valore limite D.Lgs.152/06). I rischi per sostanze cancerogene derivanti da ciascun contaminante, per il suolo superficiale è risultato non accettabile per PCB (ingestione di suolo e contatto dermico) e Berillio (ingestione di suolo). Il rischio totale (HI) per le sostanze non cancerogene è pari a 3.12 (1 è il valore limite D.Lgs.152/06) e risulta non accettabile’’. E’ dunque emerso un rischio sanitario per sostanze cancerogene e non cancerogene diversamente distribuite nelle aree analizzate. Il rischio non accettabile per il suolo superficiale riguarda anche i seguenti composti: Benzo(a)pirene, Antimonio, Ferro, Piombo, Manganese. Nel caso di Berillio, Ferro e Manganese si sono verificati superamenti dei limiti consentiti per legge in tutte le aree analizzate.
Ricordiamo, infine, che, sebbene si rendano necessari interventi d’emergenza di bonifica e di messa in sicurezza delle aree contaminate, la presenza costante della fonte inquinante nei pressi del centro abitato, continuerà a rappresentare un rischio per la salute degli abitanti del quartiere Tamburi per il verificarsi di successive nuove deposizioni sui terreni e poiché gli inquinanti vengono assunti anche e soprattutto per inalazione (non solo per contatto)
”.

Ma nonostante i risultati dell’Analisi di rischio, il Rione Tamburi ad oggi non ha ancora subito alcun trattamento di bonifica.



         Autorizzazione integrata ambientale.

         Il D. Lgs. 18/2/2005 n. 59 recepisce integralmente la Direttiva IPPC che prescrive la sottoposizione degli impianti riportati nell'allegato I ad una autorizzazione ambientale unica denominata AIA, sostitutiva di tutte le altre autorizzazioni ambientali eventualmente necessarie in base alle normative di settore. Il riferimento è all'elenco di cui all'allegato II (in cui rientrano Autorizzazione alle emissioni in atmosfera, Autorizzazione allo scarico di cui al D. Lgs. 152/1999, Autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti di cui al D. Lgs. 22/1997). Viene anche previsto il coordinamento tra IPPC e sistemi di certificazione ambientale. Da sottolineare che la disciplina in tema di AIA va coordinata con gli articoli 216 e 216 R.D. 27/7/1934 n. 1265 (“Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie”, c. d. TULLSS).
Il D. Lgs. 3/4/2006 n. 152, regola la Valutazione di Impatto Ambientale, la Valutazione Ambientale Strategica, i rifiuti, gli scarichi industriali, la bonifica di siti contaminati, i “Siti di Interesse Nazionale” ai fini della bonifica, l'Autorizzazione Integrata Ambientale. il coordinamento tra VIA e AIA, disponendo (nella versione in vigore il 31/7/2007) una integrazione facoltativa della VIA nell'AIA e successivamente la sostituzione dell’AIA con la VIA.
In particolare, l'art. 29-quater disciplina la procedura per il rilascio dell'AIA. Il comma 15 dispone che “in considerazione del particolare e rilevante impatto ambientale, della complessità e del preminente interesse nazionale dell'impianto”, possono essere conclusi specifici accordi tra le amministrazioni al fine di garantire, “in conformità con gli interessi fondamentali della collettività, l'armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali”. Sono poi previsti accordi di programma (art. 246) con riferimento alla bonifica di siti contaminati, per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti. Ai sensi dell'art. 252, ai fini della bonifica possono essere individuati siti di interesse nazionale: viene ripresa la legge 426/1998. Inoltre, ai sensi dell'art. 252-bis, sono individuati siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale e lo sviluppo economico-produttivo, tra cui quelli di cui alla legge 426/1998 ed ulteriori (si veda il D.M. 18 settembre 2001, n. 468).
Il D. Lgs. 13/8/2010 n. 155 ha recepito la Direttiva 2008/50/CE sulla “qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa”. La finalità è quella di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso; ottenere informazioni sulla qualità dell'aria ambiente (intesa come l'aria esterna presente nella troposfera, ad esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro definiti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81) come base per individuare le misure da adottare per contrastare l'inquinamento e gli effetti nocivi dell'inquinamento sulla salute umana e sull'ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine, nonché i miglioramenti dovuti alle misure adottate; mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi; garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell'aria ambiente. Il predetto decreto stabilisce, tra l'altro, i valori limite per le concentrazioni nell'aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio.


L’AIA prevede che una fabbrica sia autorizzata se adotta le BAT, ossia le migliori tecnologie disponibili. Il dlgs 59/2005 all’art. 7 definisce così il significato di “disponibili”:le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide
nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purche’ il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli;

Una tale definizione di “disponibile” porta a subordinare l’efficacia tecnica alle ragioni della “ragionevolezza economica”.

La risposta sta nell’articolo 8 della normativa sull’AIA (dlgs 59/2005) che è stato trasfuso nell’art. 29 septies del Codice dell’Ambiente (dlgs 152/2006).

Art. 8. Migliori tecniche disponibili e norme di qualità ambientale

Se, a seguito di una valutazione dell’autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di
assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l’autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale.


Dalla perizia dei chimici risulta infatti che le tecnologie dell’Ilva non rientrano nelle migliori BREF (Bat Reference), ossia nelle migliori
tecnologie in assoluto. In alcuni casi le tecnologie adottate sono fuori dal “range” delle Bref, e questo è gravissimo, perché vuol dire che i vari tecnici della Commissione Aia, compresi quelli degli enti locali, non hanno vigilato, o hanno vigilato al contrario, come sembra emergere dalle intercettazioni, dove compaiono alcuni nomi.

Il 30 settembre è fissato come termine per il rilascio della nuova AIA.

 D.L. 129/2012 Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto.


Il decreto legge 129/2012 si compone di tre articoli, è volto – secondo quanto evidenziato nelle premesse e nella relazione illustrativa – a fronteggiare la grave situazione di criticità ambientale e sanitaria nel sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto. Un Protocollo d’intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto è stato stipulato il 26 luglio 2012 tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per la coesione territoriale, la regione Puglia, la provincia di Taranto, il Comune di Taranto e il Commissario straordinario del Porto di Taranto. Il quadro complessivo degli interventi  del Protocollo ammonta a 336,7 milioni di euro.

Il provvedimento, che è stato approvato dall'Assemblea nella seduta di martedì 18 settembre, non è stato modificato e passa ora all'esame del Senato.

Passando al contenuto del provvedimento, l’art. 1,comma 1, demanda a un D.P.C.M. la nomina di un Commissario straordinario al fine di assicurare l’attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d’intesa del 26 luglio 2012 in cui sono compresi gli interventi che fanno riferimento alle risorse stanziate con le delibere CIPE del 3 agosto 2012 per un importo specificato nella norma pari a euro 110.167.413 a valere sulle risorse della regione Puglia del Fondo per lo sviluppo e la coesione, la cui realizzazione è ritenuta prioritaria.

Il Commissario, la cui nomina non dà diritto ad alcun compenso, resta in carica per la durata di un anno prorogabile con un ulteriore D.P.C.M. e può avvalersi di un soggetto attuatore e degli uffici e delle strutture delle amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e locali, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nonché di organismi partecipati di cui all’art. 4, comma 2, del Protocollo (comma 6). Al Commissario è intestata un’apposita contabilità speciale (comma 4) e il comma 7 dell’art. 1 specifica le disposizioni applicabili in materia di controlli e di rendicontazione.

L’art. 1, comma 2, precisa che restano fermi gli interventi previsti nel Protocollo di intesa con oneri a carico dell’Autorità portuale di Taranto e che, a tal fine, è assicurato il coordinamento fra il Commissario straordinario nominato ai sensi del comma 1 ed il commissario straordinario dell’Autorità portuale di Taranto.

L’art. 1, comma 3, prevede che all’attuazione degli altri interventi previsti nel Protocollo sono altresì finalizzate risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’esercizio finanziario 2012 , nel limite massimo di 20 milioni di euro.

Sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 5, il Commissario è individuato quale soggetto attuatore per l’impiego delle risorse, per un importo pari a 30 milioni di euro, del Programma Operativo Nazionale (PON) Ricerca e Competitività, nonché delle risorse già assegnate nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) Reti e Mobilità, per un importo pari ad euro 14 milioni.

Il comma 8 dell’art. 1 prevede, inoltre, che i finanziamenti a tasso agevolato a valere sul cd. Fondo rotativo Kyoto art. 57 D.L. 83/ 2012 fino ad un importo massimo di 70 milioni di euro - possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del sito di interesse nazionale di Taranto.

L’art. 2 riconosce, infine, l’area industriale di Taranto area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 27del  decreto–legge 22 giugno 2012, n. 83, che consente di attivare i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, dei territori interessati. L’art. 3 dispone l’entrata in vigore del provvedimento.

Per quanto riguarda l'attività parlamentare, nella seduta del 14 agosto si sono svolte le comunicazioni del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e  del mare sulla situazione dell’ILVA di Taranto e sulle prospettive di riqualificazione presso le Commissioni riunite VIII e X. Nella seduta dell'Assemblea del  Senato del  5 settembre, infine, si è svolta un'informativa del  Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti e del  Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio e del mare sui più recenti sviluppi della vicenda dell'Ilva di Taranto.
Rosanna Carbotti

martedì 18 settembre 2012

Servizi pubblici: dietro il no della Consulta

tratto da Rinnovabili.it 

Diamo un sguardo più da vicino alla sentenza n. 199/2012 della Corte Costituzionale, del 20 luglio scorso, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 4 del “decreto ferragosto”.


Non ha deluso le aspettative di chi ha creduto e crede nelle motivazioni dei requisiti referendari di giugno 2011, la sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012 che non ha reso vana la numerosa affluenza alle urne per l’abrogazione della normativa in materia di servizi pubblici locali. La Consulta, partendo dal presupposto opportunamente eccepito dalle Regioni ricorrenti, che uno dei quattro quesiti referendari veniva impropriamente circoscritto alla sola questione della privatizzazione del servizio idrico, ha annullato le disposizioni contenute nell’art. 4 del D.L. 138/2011. La disciplina contenuta nell’art. 4 suddetto non solo riproduceva sia nei principi che testualmente, sia talune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23 bis del D.L. sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione. Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della  nuova disciplina del servizio idrico integrato “risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e l’identità della ratio ispiratrice”.  Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuavano,  afferma ancora la Corte Costituzionale, la drastica riduzione delle ipotesi di  affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso  escludere. Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum  riguardava “pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica” (sentenza n. 24 del  2011) ai quali era rivolto l’art. 23-bis, non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato  dal novero dei servizi pubblici locali sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare, con la conseguenza che la norma di cui all’art. 4 del D.L. 138/2011 costituiva, sostanzialmente, la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum  del 12 e 13 giugno 2011.  Il Giudice delle leggi ha quindi ritenuto che la norma in esame violasse il divieto di ripristino della normativa abrogata  dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale. Un simile vincolo derivante dall’abrogazione referendaria si giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli  strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l’esito della consultazione popolare, che costituisce esercizio di quanto previsto dall’art. 75 Cost., venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto.

Ad oggi, dunque, il settore dei servizi pubblici, analogamente a come era avvenuto all’esito del referendum abrogativo del giugno 2011, si trova ad essere regolato esclusivamente dai principi di diritto comunitario, (assolutamente meno restrittivi rispetto alla disciplina abrogata) sulle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.  Tali principi non impongono la privatizzazione dei servizi pubblici locali, fermo restando che ogni ente è libero di scegliere anche questa strada attuando le conseguenti procedure ad evidenza pubblica del caso, ma consente agli Stati membri di mantenere la gestione pubblica e non prevede una soglia minima di partecipazione dei privati nelle società miste.

Allo stato dunque gli affidamenti legittimi a società in house o miste, con socio operativo selezionato mediante gara a c.d. doppio oggetto con almeno il 40% di capitale, possono proseguire fino alla scadenza senza necessità di alcun adempimento da parte dei Comuni. Non sarà quindi necessaria la prevista procedura sull’analisi della gestione concorrenziale (delibera quadro ed eventuale parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). Viene meno anche l’obbligo per i Comuni di ridurre le proprie partecipazioni secondo tempi e modalità prestabilite, per poter portare a scadenza i contratti in essere (scongiurando possibili infiltrazioni da parte di società di derivazione mafiosa).

Restano invece valide ed in vigore le disposizioni  di cui all’articolo 3 bis inerente Ambiti  territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali nonché le norme in materia di vincoli e limiti per le società in house su personale, acquisti di beni e servizi e possibile estensione del Patto di Stabilità, previsti dalle vigenti normative.


lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.