martedì 6 marzo 2012

vuoto a rendere opportunità o problema?

Vuoto a rendere.
Per gran parte degli italiani è solo un ricordo, i più giovani non l’hanno mai neanche sperimentato. Eppure, in diversi Paesi del Centro e Nord Europa, il sistema funziona bene e permette una riduzione dei rifiuti alla fonte. Il governo italiano ha provato a introdurlo anche in Italia, ma il primo tentativo è andato, manco a dirlo, a vuoto. Nelle prime bozze del decreto sulle liberalizzazioni che sono circolate a fine gennaio prima della pubblicazione definitiva del dl in Gazzetta Ufficiale, infatti, era stato inserito un articolo sul vuoto a rendere, che ha scatenato polemiche e discussioni senza fine.

Il convegno “Vuoto a rendere: opportunità o problema?” organizzato da Kyoto Club lunedì 5 marzo è stata l’occasione per fare il punto sul provvedimento, per il momento accantonato dall’esecutivo, con le diverse parti interessate: il ministero dell’Ambiente, i consorzi di raccolta e riciclo, Legambiente, l’Anci, Federambiente e alcuni rappresentanti dell’industria delle bevande.

«Quando se ne parlò nel 1997, l’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi decise poi per un’altra strada, quella del riciclo attraverso i consorzi, che si è rivelata un successo. Oggi c’è però da chiedersi se è possibile migliorare ulteriormente il sistema riducendo la quantità dei rifiuti in circolo», sottolinea Francesco Ferrante, vice presidente del Kyoto Club e senatore Pd.
Avviando una «fase 2.0 degli imballaggi» che farebbe solo bene al nostro Paese, come sottolinea il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani.

Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, traccia il quadro generale: «Il provvedimento del vuoto a rendere si inserisce nel quadro di un aumento del costo delle materie prime negli ultimi dieci anni. Il sistema è in vigore in diversi Paesi. In Germania, per esempio, il settore delle bottiglie della birra è quello che funziona meglio, e si basa principalmente sul consumo locale». Le criticità potrebbero essere una «possibile complessità nella gestione del sistema», i «costi per avviare e gestire il sistema», oltre a «possibili interazioni negative con la raccolta differenziata». Significativi, però, anche i vantaggi: «Riduzione del volume dei rifiuti, risparmio energetico, riduzione delle emissioni e aumento dei posti di lavoro».

I tedeschi, in realtà, come spiega il presidente di Federambiente Daniele Fortini, «hanno due circuiti di vuoto a rendere: uno per il recupero e l’altro per il riciclo. in italia occorre valutare la praticabilità del sistema, che
comunque non può essere quello utilizzato 40 anni fa».

L’ipotesi del ministero: sistema valido per imballaggi in plastica, vetro e alluminio. I costi scaricati su chi non restituisce i vuoti.
Il sistema che sta mettendo a punto il ministero dell’Ambiente prevedrebbe il vuoto a rendere solo per alcuni tipi di imballaggi: «Bottiglie in PET, bottiglie e altri contenitori in vetro, imballaggi in alluminio», spiega il sottosegretario all’Ambiente Tullio Fanelli. Ma chi pagherà i costi? «Un solo soggetto: chi non restituisce i vuoti. Secondo la logica “Chi inquina paga”, mentre nessuno degli altri soggetti ci deve rimettere un euro. Avrei addirittura l’ambizione che essi possano guadagnare qualcosa dal recupero», spiega Fanelli, che ha fatto dei conti precisi: «Ogni anno saranno immessi sul mercato 10 miliardi di pezzi. Calcolando una cauzione di 20 centesimi a pezzo, arriviamo a 2 miliardi. Se il 10% di questi imballaggi non venissero ridati
indietro, e quindi non fosse restituita la cauzione, si otterrebbe un tesoretto di 200 milioni di euro. Le risorse necessarie cioè per far funzionare il sistema».

Conai:«La norma del governo poco chiara. Tante le questioni aperte» Alla notizia di un’introduzione del vuoto a rendere, i Consorzi per la raccolta e il riciclo hanno temuto che un sistema funzionante come il loro
potesse essere messo a rischio. Oggi il presidente di Conai Roberto De Santis spiega: «Ci sono delle questioni da chiarire: per quanto riguarda la cauzione, il sistema coinvolgerà produttori e distributori, o anche i consumatori? E sarà finalizzato al riutilizzo o al riciclo? Mi sembra di capire che la norma del governo fosse finalizzata al riciclo, ma non diceva niente sull’organizzazione a valle del sistema. Non c’era scritto niente sulla logistica, né si specificava di chi erano gli imballaggi una volta raccolti».

Comuni: «Perché cambiare un sistema che funziona? Fare prima sperimentazione»
I più scettici sono indubbiamente i comuni italiani, che attualmente ricevono un corrispettivo in base alla raccolta differenziata effettuata sul loro territorio. «Si deve affrontare il sistema del vuoto a rendere senza stravolgere un sistema. Perché cambiarlo, quando raggiunge punte del 65-70% di raccolta differenziata?», chiede il responsabile Energia e rifiuti dell’Anci Filippo Bernocchi. La proposta dei Comuni italiani è di «sperimentare il vuoto a rendere in un Ato tipo per due o tre anni, valutando le conseguenze e i possibili risparmi per i cittadini».

L’industria: a favore, ma senza gravare troppo sul consumatore
Una buona fetta dell’industria è favorevole al vuoto a rendere, dati i notevoli risparmi che il sistema comporterebbe. «Per quanto riguarda il settore dei consumi fuori casa, vediamo solo punti di forza. L’unico dato critico riguarda l’utilizzo di acqua per rigenerare le bottiglie, anche se quell’acqua poi può essere riutilizzata», spiega Giuseppe Cuzziol, presidente di Italgrob (Federazione italiana grossisti e distributori di bevande ), che insieme a Legambiente e Fipe-Confcommercio ha promosso il progetto sperimentale di vuoto a rendere Vetro indietro. L’unica preoccupazione, almeno per il settore degli alcolici, «è che i costi si riversino sul consumatore», causando un calo dei consumi, sottolinea il presidente di Assobirra Alberto Frausin. 
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, propone invece «un sistema di cauzioni che ne preveda il pagamento da parte di tutti i soggetti della catena, dal grossista fino al consumatore. A quest’ultimo, la cauzione verrebbe restituita sotto forma di titolo di credito».
Rosanna Carbotti



1 commento:

  1. Lo studio GEA era presente al convegno e presto realizzerà un approfondimento sul tema.

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lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.