Sviluppo Sostenibile
Il principio dello sviluppo sostenibile, è stato inizialmente elaborato in sede internazionale e lentamente recepito anche dalle varie legislazioni nazionali: esso è nato dalla presa di coscienza dell’uomo a livello planetario, connessa alla propria sopravvivenza, dell'importanza di un uso razionale delle risorse della natura.
Si è venuto così delineando gradualmente un folto gruppo di norme di soft law non vincolanti, generalmente programmatiche e d’indirizzo, fondamentali per la pianificazione successiva di politiche o negoziati, non produttive dunque di obblighi e diritti circostanziati ma, tuttavia, in grado nel tempo di colmare spazi in precedenza lasciati alla discrezionalità degli Stati per poi riuscire ad entrare nelle Carte costituzionali e nelle singole legislazioni nazionali. In tale gruppo hanno un ruolo fondamentale le Dichiarazioni di principî ed i Programmi d’azione. Questi atti di soft law hanno acquisito un’importanza fondamentale nel panorama del diritto internazionale dell’ambiente.
Tra i primi atti si ricorda la Dichiarazione di Stoccolma, che non è altro che il documento conclusivo, non vincolante ma solo di principî, della prima Conferenza Mondiale dell'ONU sull’Ambiente tenutasi nel 1972. Con tale documento si è cominciato a considerare l’ambiente come una delle dimensioni essenziali dello sviluppo umano e che l'inquinamento non è una conseguenza irrinunciabile dello sviluppo; da qui, lo slogan della Conferenza «non c’è sviluppo senza ambiente». Il Preambolo si apre con un’affermazione di grande interesse in base alla quale l’uomo deve essere considerato, nello stesso tempo, artefice e creatura della natura, soggetto attivo e passivo della stessa; egli è responsabile dell’ambiente in cui vive, non solo oggi ma anche in futuro, nell’ottica di tutela delle generazioni future. Il progresso economico, sociale e tecnologico dell’uomo non può prescindere dalla prevenzione e risoluzione dei problemi ecologici.
Proprio con l’obiettivo di una nuova definizione del rapporto tra «sviluppo e ambiente», all’interno della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (W.C.E.D.), insediata nel 1983 su mandato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e composta da rappresentanze di 21 Paesi, è nato nel 1987 il documento dal titolo Il nostro futuro comune (Our Common Future), più noto come Rapporto Brundtland. L’intera analisi del Rapporto, condotta sul piano della crescita economica, della lotta alla povertà e dell’affermazione dell’interdipendenza globale, conduce all’affermazione di un unico principio fondamentale, lo sviluppo sostenibile, divenuto l’elemento basilare di ogni politica ambientale.
Proprio con l’obiettivo di una nuova definizione del rapporto tra «sviluppo e ambiente», all’interno della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (W.C.E.D.), insediata nel 1983 su mandato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e composta da rappresentanze di 21 Paesi, è nato nel 1987 il documento dal titolo Il nostro futuro comune (Our Common Future), più noto come Rapporto Brundtland. L’intera analisi del Rapporto, condotta sul piano della crescita economica, della lotta alla povertà e dell’affermazione dell’interdipendenza globale, conduce all’affermazione di un unico principio fondamentale, lo sviluppo sostenibile, divenuto l’elemento basilare di ogni politica ambientale.
Il concetto fondamentale del Rapporto è quello secondo il quale lo «sviluppo sostenibile» deve soddisfare «i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro» ("development which meets the needs of the present generation without compromising the ability of the future generations to meet theirs"). Lo sviluppo sostenibile va inteso quindi come un concetto dinamico, un processo di continuo cambiamento, per cui lo sfruttamento delle risorse naturali, gli investimenti, lo sviluppo tecnologico, i mutamenti istituzionali vanno attuati in modo da tenere in dovuta considerazione non solo i bisogni presenti, ma anche quelli futuri. Secondo il Rapporto Bruntland quindi, lo sviluppo sostenibile: 1) ha una dimensione spaziale globale e comune; 2) ha una dimensione temporale di lunga durata; 3) è finalizzato a sostenere il progresso umano; 4) deve soddisfare i bisogni odierni, ma senza minare la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri, in un’ottica di equità intergenerazionale; 5) non ha limiti assoluti; 6) deve soddisfare i bisogni primari di tutti in modo che chiunque possa coltivare l’aspirazione ad un’esistenza migliore; 7) il fine ultimo è quello di generare armonia all’interno della specie umana e tra questa e la natura.
Nel 1992 si tiene a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (U.N.C.E.D.). Tra i documenti scaturiti dalla Conferenza c’è la Dichiarazione su Ambiente e Sviluppo e il suo strumento d’attuazione denominato Agenda 21, strumento che ha avuto nel tempo una notevole importanza perché ha tentato di delineare un Piano d’Azione per Governi, O.N.U., settori indipendenti e agenzie interessate allo «sviluppo sostenibile». La Dichiarazione di Rio de Janeiro, riprendendo molti principî della Dichiarazione di Stoccolma del 1972, in un’ottica antropocentrica ma nello stesso tempo olistica in quanto basata sull’unità e l’interdipendenza del pianeta, considera lo sviluppo come diritto di tutti gli esseri umani e condizione necessaria perché venga soddisfatto a sua volta il bisogno di ambiente e sviluppo delle generazioni non solo presenti ma soprattutto future: tutti hanno «diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura», anche se, comunque, ogni Stato detiene sempre un diritto sovrano a sfruttare in qualsiasi modo le proprie risorse (Principio 1, 2, 3 e 4). La lotta alla povertà è inquadrata, per la prima volta a livello internazionale, come requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile (Principio n. 5). Viene introdotto il fondamentale criterio, per ciò che attiene alla degradazione ambientale, delle responsabilità comuni ma differenziate, in base al quale ciascun Paese si assume le responsabilità che derivano in maniera proporzionale alla tecnologia e alle risorse finanziarie di cui dispone e alla pressione che le rispettive società esercitano sull’ambiente (Principio 7). Le politiche demografiche sono considerate un valido strumento di sviluppo sostenibile, così come quelle di trasferimento e scambio delle tecnologie (Principio 8 e 9). La crescita culturale delle popolazioni diviene strumento fondamentale di lotta alla povertà e, quindi, di realizzazione dello sviluppo sostenibile.
Il principio di precauzione secondo cui è sempre meglio prevenire i disastri ambientali facendo anche più del necessario senza adeguata certezza del nesso eziologico tra fatto ed evento piuttosto che arginare i mali ambientali prodotti, secondo il Principio 15, è il criterio essenziale nella salvaguardia della natura. Un principio importante evidenziato all’interno di tale Dichiarazione, è quello di equità il quale riguarda sia la comunità attuale sia le generazioni future: per ciò che attiene alle comunità presente l’equità si deve intendere riferita all’accesso alle risorse naturali; per quanto riguarda, invece, le generazioni, l’equità è chiamata a garantire che le generazioni future possano godere, al pari di quelle presenti, di un ampio patrimonio naturale e culturale. Di conseguenza, il concetto di equità deve essere inteso come assunzione di responsabilità comuni ma differenziate tra gli Stati e non, quindi, semplicemente come equa ripartizione dei benefici, in deroga ai principî tradizionali di eguaglianza e reciprocità che sono stati sempre alla base dei Rapporti internazionali. Equità e sviluppo sostenibile, da Rio de Janeiro in poi, procederanno parallelamente.
Alla Dichiarazione di Rio si deve anche il riconoscimento del concetto di pace come elemento fondamentale della crescita e della salvaguardia ambientale, infatti il Principio 25 recita: "La pace, lo sviluppo e la protezione dell'ambiente sono interdipendenti e indivisibili"
Il confronto tra Paesi sul tema della sostenibilità è poi proseguito nel 2002 con il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (W.S.S.D.) di Johannesburg. I documenti fondamentali scaturiti da tale Vertice sono la Dichiarazione sullo Sviluppo Sostenibile (Johannesburg Declaration on Sustainable Development) e il Piano d’Azione (Plan of Implementation). Tra i due atti, il più importante è il secondo, poiché, sebbene sia un documento programmatico, quindi non vincolante e rientrante nella categoria della cosiddetta soft law, risulta essenziale per un’azione diretta al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile.
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