La tariffa rifiuti non deve essere assoggettata ad IVA. Si tratta infatti di un'entrata tributaria che, in quanto tale, non può mai costituire il corrispettivo di un servizio reso. Questo è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3756 del 9 marzo scorso, in aperto contrasto con la tesi espressa dal Dipartimento delle politiche fiscali, nella circolare n. 3 del 2010.Con quest'ultimo documento di prassi, le Finanze avevano tentato di bloccare le istanze di rimborso dei contribuenti rilevando la continuità esistente tra la Tia1 (articolo 49, Dlgs 22/1997) e la Tia2 (articolo 238, Dlgs 152/2006).
La Tia2 è stata, infatti, dichiarata entrata patrimoniale, soggetta a Iva, con la disposizione interpretativa di cui all'articolo 14, comma 33, Dl 78/2010. Senonché, proprio questa tesi è stata smentita dall'ultima pronuncia della Cassazione.
Prima di arrivare a questa nuova pronuncia (che di sicuro non sarà l'ultima), la giurisprudenza e la dottrina si sono più volte interessati della questione della tariffa rifiuti, anche per l'assoluta incertezza normativa che la domina.
Si cercherà di ricostruire la vicenda.
La Tia (tariffa di igiene ambientale) è stata introdotta dall'art. 49 del D.lgs 22/97 (Decreto Ronchi) ed avrebbe dovuto sostituire nel giro di pochi anni la vecchia Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), ma sin dalla sua nascita ha avuto vita difficile, tanto che solo una minoranza di comuni ha effettuato il passaggio.
Molto è stato scritto sulla Tariffa, in particolar modo sulla sua natura giuridica. La Tia presentava infatti, caratteri di continuità con la vecchia Tarsu, tali da sostenerne la natura tributaria, ma al contempo esprimeva anche elementi di novità tali da optare per la sua natura privatistica alla stregua di altri servizi pubblici (luce, acqua, gas). La scelta dell'una o dell'altra soluzione poneva delle conseguenze pratiche rilevantissime, pertanto la questione ha richiesto il pronunciamento delle Corte Costituzionale.
La Consulta ha dovuto decidere circa la legittimità costituzionale dell'art. 2 comma 2 del d.lgs 546/92, ovvero sulla devoluzione alle Commissioni Tributarie della competenza a decidere sulle questioni inerenti lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Tale norma infatti, pur avendo una valenza meramente processuale e pur non essendo formalmente compresa nè richiamata nei decreti legislativi che hanno introdotto e rinnovato la tariffa (22/97 e 152/06), è risultata essere la chiave di volta di tutto l'impianto normativo. Di fatto si era venuta a creare una situazione abbastanza paradossale per cui le Commissioni Tributarie, da un lato rivendicavano legittimamente la competenza a decidere sulle controversie in materia di Tia, ma dall'altro, entrando nel merito delle questioni sottoposte, ne riconoscevano la natura non tributaria, andando in tal modo a snaturare la loro stessa competenza rivolta esclusivamente e necessariamente a problematiche di tipo tributario.
Nel corso dell'anno 2008, la Corte Costituzionale (sentenze 64 e 130) si era già pronunciata sull'art. 2 del D.lgs 546/92, dichiarandone l'incostituzionalità delle parti in cui devolveva alle Commissioni tributarie le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche e alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non tributarie. Il principio invocato dalla Consulta era quello secondo cui "il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l'attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un nuovo giudice speciale". Ed è proprio a seguito di questo preciso orientamento giurisprudenziale che la Commissione tributaria di Prato aveva chiesto l'apertura del giudizio di costituzionalità.
Con la sentenza 238/09 la Consulta ha posto fine alla lunga diatriba sulla natura giuridica della Tia concludendo per la natura tributarie e confermando quindi la competenza del giudice tributario.
La Corte Costituzionale non manca di chiarire che la nozione di tributo prescinde dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i singoli prelievi e che consiste piuttosto, nella doverosità della prestazione richiesta, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante.
La Consulta ha inoltre affermato una analogia sostanziale e una continuità tra la vecchia Tarsu e la nuova Tariffa di igiene ambientale, tale da non mutare la natura giuridica di quest'ultima. Le somiglianze rilevate: il fatto generatore dell'obbligo del pagamento è legato non all'effettiva produzione dei rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all'utilizzazione di superfici potenzialmente idonei a produrre rifiuti; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono in regime di privativa sulla base di una disciplina regolamentare da essi unilateralmente fissata; i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; il metodo normalizzato per la determinazione della Tia è pienamente coerente con i criteri fissati dalla legge per la commisurazione della Trasu (per entrambi i prelievi rileva la potenziale produzione di rifiuti valutata per tipo di uso delle superfici tassabili).; estraneità all'abito di applicazione dell'IVA ovvero l'inesistenza di un nesso diretto tra servizio ed entità del prelievo porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento all'Iva e caratterizzato dal pagamento di un corrispettivo per la prestazione dei servizi.
Pur essendo applicata da una minoranza di Comuni, la Tariffa di igiene ambientale è stata abrogata dalla Tariffa integrata ambientale (Tia 2), di cui all'art. 238/06, che ha istituito un nuovo sistema tariffario che si caratterizza anche esso come corrispettivo per lo svolgimento dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per coprire i costi di gestione delle discariche. Trattasi di un contributo commisurato alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. La situazione attuale della disciplina transitoria prevede che sia un apposito regolamento a definire i criteri generali per la determinazione della tariffa; tale regolamento però non è stato ancora emanato. La disciplina della Tia 2 ha fatto ritenere che fosse assoggettabile ad Iva, ma la sentenza 3756 smentisce tale visione.
Ne deriva un evidente impulso alla riattivazione delle istanze di rimborso dell'Iva pagata dai cittadini, spesso tenute in sospeso, in forza della suddetta circolare n. 3.
A tale scopo, sarà sufficiente verificare se la fattura emessa è intestata al gestore, al quale va inoltrata la domanda di rimborso. Nei casi meno diffusi in cui, invece, è stato il Comune a riscuotere l'entrata, con assoggettamento ad Iva, la domanda andrà inoltrata all'ente locale.
Prima di presentare le domande occorre tuttavia fare delle verifiche. In primo luogo, è ovvio che nessun rimborso potrà essere richiesto ai Comuni che hanno applicato la Tarsu. In questi casi, poiché l'Iva non è mai stata addebitata, nulla potrà essere preteso in restituzione a tale titolo. In caso di applicazione della tariffa, inoltre, occorre accertare di che tipo di tariffa si tratta. Potrebbe infatti essere accaduto che il Comune, con apposita delibera regolamentare, abbia deciso di istituire la Tia2, in luogo della Tia1 (si veda l'articolo in pagina). In tale eventualità, l'ostacolo è rappresentato dalla sopra citata norma interpretativa, di cui all'articolo 14, Dl 78/2010, che ne ha sancito la natura patrimoniale, in quanto tale da assoggettare ad Iva.
Il punto è, però, che in presenza di un'entrata che funziona esattamente come l'omologa entrata tributaria (la Tia1), appare difficile sostenere che il regime giuridico è completamente diverso.
A ciò si aggiunga che, per consolidata tradizione dottrinale e giurisprudenziale, per stabilire la natura di un prelievo occorre dare prevalenza non alle espressioni letterali utilizzate dal legislatore ma al modo di funzionamento dello stesso. Si dovrebbe allora presentare al gestore un'istanza di rimborso dell'Iva pagata e quindi adire la magistratura ordinaria, per chiedere in via pregiudiziale l'illegittimità della disposizione di cui all'articolo 14, comma 33, Dl 78/2010, per violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Se la Consulta dovesse accogliere l'eccezione, la Tia2 verrebbe riqualificata come entrata tributaria, rientrando così nella medesima disciplina giuridica della Tia1.
Le cose sono, invece, decisamente più semplici nei Comuni che hanno applicato la Tia1. Sarà in questo caso sufficiente presentare un'istanza di rimborso al gestore del servizio pubblico e quindi, in caso di rifiuto, citare lo stesso in giudizio davanti al giudice ordinario.
In caso di richiesta di restituzione dell'Iva da parte di un consumatore finale, infatti, si è in presenza di una controversia tra privati, che non origina dall'emissione di un atto impositivo. Ne consegue l'incompetenza delle Commissioni tributarie e la cognizione del giudice ordinario (tra le tante, Cassazione, sentenza 2064 del 2011).
Il termine per presentare l'istanza di rimborso dovrebbe essere quello di dieci anni dal pagamento, trattandosi di un indebito oggettivo.
Maria Giovanna Laurenzana
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