mercoledì 28 marzo 2012

ETICHETTATURA DEI PRODOTTI CONNESSI ALL'ENERGIA: IL GOVERNO SI PREPARA A RECEPIRE LA DIRETTIVA 2010/30/UE


Il Consiglio dei Ministri di venerdì ha approvato su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri, uno schema di decreto legislativo che  dà attuazione alla delega prevista dalla legge comunitaria 2010 e, in particolare, alla parte relativa al recepimento della Direttiva 2010/30/UE del Parlamento Europeo e del consiglio 19 maggio 2010  concernente "Indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all'energia, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti".
La direttiva risponde alla necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione in modo da conseguire l’obiettivo di ridurre del 20 % il consumo  energetico dell’Unione entro il 2020 ed   istituisce un quadro per l'armonizzazione delle misure nazionali sull'informazione degli utilizzatori finali, realizzata in particolare mediante etichettatura e informazioni uniformi sul prodotto, sul consumo di energia e, se del caso, di altre risorse essenziali durante l'uso nonché informazioni complementari per i prodotti connessi all'energia, in modo che gli utilizzatori finali possano scegliere prodotti più efficienti. Si applica ai prodotti che hanno un notevole impatto diretto o indiretto sul consumo di energia e, se del caso, su altre risorse essenziali durante l'uso e non riguarda: i prodotti usati; i mezzi adibiti al trasporto di cose o di persone; la piastrina, o l'equivalente della piastrina, indicante la potenza, apposta per motivi di sicurezza sui prodotti.
La Direttiva: integra le clausole obbligatorie; chiarisce le responsabilità dei commercianti e pone le basi per l'introduzione di strumenti per appalti pubblici e incentivi da parte dell'UE e degli Stati Membri; stabilisce i criteri per le etichette energetiche in appositi provvedimenti attuativi specifici per prodotto, riportando il livello di prestazioni energetiche al di sotto del quale le autorità pubbliche non sono autorizzate a concedere incentivi; si propone di integrare le direttive Ecolabel ed Ecodesign con l'obiettivo di ampliare gradualmente l'ambito di applicazione a livello di quello della Direttiva Ecodesign; modifica e abroga la Direttiva 92/75/EC e unifica le Direttive modificative in un singolo atto (rifusione). 
Secondo quanto previsto dall'art. 5 della Direttiva gli Stati membri devono garantire che: i fornitori che immettono sul mercato o che mettono in servizio i prodotti che rientrano in un atto delegato forniscano un'etichetta e una scheda conformemente alla presente direttiva e all'atto delegato; i fornitori producano una documentazione tecnica sufficiente a consentire di valutare l'esattezza dei dati che figurano sull'etichetta e sulla scheda. 
In riferimento alla distribuzione, gli Stati membri devono garantire che: i distributori espongano adeguatamente le etichette, in maniera visibile e leggibile, e presentino la scheda nell'opuscolo del prodotto o in ogni altra documentazione che correda i prodotti quando sono venduti agli utilizzatori finali; riguardo all'etichettatura e alla scheda informativa, qualora un prodotto contemplato da un atto delegato sia esposto, i distributori vi appongono un'adeguata etichetta, nella posizione chiaramente visibile specificata nel relativo atto delegato e nella pertinente versione linguistica. Le informazioni accurate, pertinenti e comparabili sul consumo specifico di energia dei prodotti a questa connessi dovrebbe, infatti, orientare la scelta degli utilizzatori finali verso i prodotti che offrono (o indirettamente comportano) il minor consumo di energia.
Secondo quanto affermato dal Governo nel comunicato reso alla fine del Consiglio, lo schema approvato risponderebbe ai principi della Direttiva nell’ottica del risparmio energetico e dell’informazione a tutela del consumatore.
Maria Giovanna Laurenzana


DECRETO LIBERALIZZAZIONI:LA NUOVA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI. PRIME OSSERVAZIONI


Si è concluso l’iter legislativo del D.L. Liberalizzazioni con la pubblicazione della legge di conversione in Gazzetta Ufficiale (24 marzo). Numerose le tematiche trattate, il tutto nell’ottica dello sviluppo di una economia e di un mercato concorrenziali.
Di particolare importanza risulta l’articolo 25, comma 1 del decreto, che modifica alcuni profili della disciplina generale dei servizi pubblici locali (tra cui rientrano il servizio idrico integrato e la gestione integrata dei rifiuti), principalmente mediante novella al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, rafforzando gli elementi volti ad introdurre la concorrenza nel mercato dei relativi servizi. Le novità principali sono: obbligo di organizzazione dei servizi per ambiti territoriali ottimali, omogenei di dimensione non inferiore a quella provinciale; meccanismi premiali per gli affidamenti mediante gara; parere preventivo obbligatorio dell’Autorità garante del mercato; economie di gestione tali da riflettersi sulle tariffe o sulle politiche del personale; riduzione a 200.000 euro del valore economico dei servizi che è possibile affidare in house; proroga dei termini di scadenza degli affidamenti in house non conformi; estensione della normativa sui servizi pubblici locali al trasporto ferroviario regionale.
In relazione al parametro dimensionale, è in ogni caso, fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già prevista da normative di settore e da disposizioni regionali e già avviata mediante costituzione di bacini di dimensioni non inferiori a quella prevista dall’articolo in esame, anche sulla base di direttive europee. In particolare, ai sensi dell’articolo 147 del Codice dell’ambiente i servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni. Analoga organizzazione territoriale è prevista dall’articolo 200 del Codice per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.
La norma in esame è l’ultima in ordine temporale che modifica la disciplina dei servizi pubblici locali, oggetto negli ultimi anni di numerosi e profondi interventi legislativi. In particolare, l’articolo 23-bis del D.L. n. 112 del 2008 aveva disposto la riforma dei servizi pubblici locali, al fine di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi. L’intera disciplina è stata travolta dall’esito delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011. Per colmare il vuoto normativo lasciato dall’abrogazione dell’articolo 23-bis, il Governo è nuovamente intervenuto sulla materia con l’articolo 4 del D.L. 138/2011, prevedendo una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che per tenere conto dell'esito della consultazione popolare, non si applica al settore idrico. Tale disciplina ha subito, da ultimo, alcune correzioni ad opera dell’articolo 9, co. 2, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012).
Gli enti locali hanno l’obbligo di procedere, in via preliminare e con cadenza periodica o comunque prima del conferimento, alla verifica della realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando i diritti di esclusiva alle sole ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. A tal fine è prevista l’adozione di una delibera quadro da pubblicizzare e trasmettere alla Autorità Antitrust.
Come già anticipato, l’articolo in esame interviene anche sulla gestione integrata dei rifiuti, che consiste in base a quanto disposto dal Codice dell’ambiente nel complesso delle attività volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti. Il comma 4 dell’articolo 25, per la gestione integrata dei rifiuti urbani, consente l'affidamento della gestione ed erogazione del servizio congiuntamente o meno alle attività di gestione e realizzazione degli impianti (prima era consentito solo congiuntamente).
Gli articoli 200, 201, 202 e 203 del D.Lgs. 152/2006 disciplinano il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, attraverso l'individuazione di ambiti territoriali ottimali (ATO). In particolare l’art. 201 ha previsto l'istituzione di Autorità di ambito (AATO), alle quali è stata demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Il comma 186-bis dell’art. 2 della L. 191/2009 ha soppresso le Autorità d'ambito territoriale ottimale (AATO) per la gestione del servizio idrico (art. 148) e del servizio di gestione dei rifiuti (art. 201), abrogando gli articoli di riferimento, ed ha demandato alle leggi regionali l’attribuzione delle funzioni già esercitate dalle AATO. 
Qualunque sia la scelta della Regione, rimane fermo il principio che la gestione vada organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati dalla Regione secondo il criterio di superamento della frammentazione delle gestioni, attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, e di conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative.
I soggetti cui saranno demandate dalle singole leggi regionali le funzioni delle AATO (tra cui l’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti) avranno dinanzi la nuova disciplina (nata come una novella dell’art. 201 abrogato, ma oggi considerata come norma autonoma) introdotta dal comma 4 dell’art. 25 in esame. Essa prevede che nella gestione del servizio di gestione integrata dei rifiuti, l'affidamento ai sensi dell’art. 202, possa riguardare la raccolta, la raccolta differenziata, la commercializzazione e l'avvio allo smaltimento e recupero, mentre, a differenza di quanto recitava il testo previgente dell’art. 201, comma 4, del D.Lgs. 152/2006, l'attività di smaltimento è affidata ove ricorrano le ipotesi previste dalla lettera a),  cioè qualora sia affidata anche la gestione e l’erogazione del servizio e/o la gestione e la realizzazione degli impianti, sempre all’interno nell’ambito territoriale ottimale. 
Per il caso in cui gli impianti non siano di proprietà degli enti locali di riferimento, dovrà essere assicurato all'affidatario del servizio: l'accesso agli impianti con tariffe regolate e predeterminate;  la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel Piano d'Ambito.
Il comma 5 dell'articolo 25 infine, modifica l'art. 14 del D.L. 201/2011 che istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto, secondo la definizione della norma previgente, in regime di privativa dai comuni.
La modifica sostituisce il concetto di gestione svolta in regime di privativa con quello di gestione svolta mediante l’attribuzione di diritti di esclusiva, nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 4 del D.L. 138/2011.
Maria Giovanna Laurenzana

martedì 27 marzo 2012

Carbon Tax, il Governo rinvia (tratto da Rinnovabili.it)


Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle finanze, ha discusso il disegno di legge delega della riforma fiscale, valutandone i contenuti e analizzandone i punti salienti. Era il primo punto all’ordine del giorno, ma in ragione dei numerosi punti all’ordine del giorno, e tra questi in particolare la riforma del mercato del lavoro, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto opportuno rinviare ad una seduta successiva l’approvazione del testo finale. Ciò al fine di ponderare e analizzare con maggiore attenzione i dettagli tecnici della riforma.

Per favorire la crescita economica, il Governo intende introdurre la tassazione ambientale: una carbon tax per finanziare i nuovi sussidi, rendendo così meno oneroso o addirittura sostituendo  l’attuale sistema basato sull’emission trading e sui prelievi concentrati in maniera massiccia sulle bollette dell’elettricità.

Nella relazione di presentazione al disegno di legge delega emerge l’idea che potenziare la tassazione ambientale è funzionale all’obiettivo di dare impulso alla crescita dell’economia lungo un percorso di sviluppo sostenibile. Le green taxes e le carbon taxes sono finalizzate a ridurre l’impatto ambientale delle attività di produzione e consumo, correggendo i comportamenti che determinano esternalità negative sull’ambiente in termini di sfruttamento delle risorse naturali o di inquinamento. Queste imposte possono incentivare l’uso di tecnologie innovative e generare nel medio periodo, vantaggi in termini di crescita guidata dalla green economy.

In questo quadro le imposte ecologiche, a differenza di altri strumenti di politica ambientale, consentirebbero di sfruttare il doppio dividendo, correggendo le esternalità ambientali, e contestualmente, generando un gettito che può essere destinato alla riduzione di imposte oppure al finanziamento di incentivi all’investimento di tecnologie verdi.

La Commissione Europea ha indicato proprio le imposte ambientali tra gli strumenti in grado di attuare una redistribuzione virtuosa della composizione del prelievo con impatto positivo sulla crescita, al fine di migliorare la  qualità del prelievo tributario negli stati membri. È attualmente in discussione al Consiglio europeo la proposta di direttiva (modifica della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità) mirante a rivedere le accise sui prodotti energetici, commisurando le aliquote al contenuto di carbonio (carbon tax). La tassazione dei prodotti energetici è stata motivata da diversi elementi, in particolare dall’esigenza di generare introiti, ma anche dalla necessità di influenzare il comportamento dei consumatori, spingendoli a fare un uso più efficiente dell’energia e a scegliere fonti energetiche più “pulite”. Dopo l’adozione della direttiva, il quadro strategico che ne è alla base è cambiato radicalmente. Nei settori dell’energia e dei cambiamenti climatici sono stati definiti obiettivi strategici concreti e ambiziosi per il periodo fino al 2020. Il pacchetto “clima-energia” adottato nel 2009 istituisce il quadro strategico necessario per raggiungere gli obiettivi fissati in modo equo ed efficiente in termini di costi. Le imposte sull’energia sono uno degli strumenti di cui gli Stati membri possono avvalersi per raggiungere gli obiettivi fissati. E’ possibile aumentare il benessere generale e l’efficienza in termini di costi se, per ridurre le emissioni nei settori che non rientrano nel sistema UE di cui alla direttiva 2003/87/CE (il sistema UE di scambio di quote di emissioni, o sistema ETS), si utilizzano strumenti che generano entrate, come l’imposizione fiscale. Le tassazioni relative alle emissioni di CO2 possono essere efficaci mezzi nelle mani degli Stati membri per conseguire le riduzioni di gas serra necessarie per raggiungere per il 2020 obiettivi relativi ai cambiamenti climatici.

In questa prospettiva si è ritenuto di introdurre anche in Italia una carbon tax, il cui gettito sarebbe destinato a rivedere il sistema di finanziamento delle fonti rinnovabili. Un utilizzo più esteso dell’imposizione energetica sui combustibili fossili calibrata in base al loro contenuto di carbonio rappresenta una misura coerente con il principio chi inquina paga, consentendo che la riduzione delle emissioni venga finanziata in misura maggiore dai responsabili delle emissioni. Come noto sono numerose le risposte negative da parte degli imprenditori a questo tipo di tassazione ritenuta onerosa, ma la posizione del Governo è risultata chiara: “Ho suggerito di inserire le misure per la fiscalità ambientale nell’ambito della strategia europea ‘Una tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050…ho suggerito che l’introduzione della carbon tax sia destinata ai settori non regolati dalla direttiva 2003/87/CE, e che il gettito sia finalizzato prioritariamente al sostegno del sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e della diffusione delle tecnologie a basso contenuto di carbonio”. Questo è quanto asserito dal Ministro Clini in un comunicato pubblico in risposta ad Emma Marcegaglia (contraria alla carbon tax).

Si dovrà attendere tuttavia (probabilmente) il prossimo Consiglio dei ministri per sapere se l’Italia avrà le sue carbon tax, anticipando per una volta la legislazione europea.

Maria Giovanna Laurenzana

per leggere l'articolo su rinnovabili.it

lunedì 19 marzo 2012

TARIFFA RIFIUTI E IVA

La tariffa rifiuti non deve essere assoggettata ad IVA. Si tratta infatti di un'entrata tributaria che, in quanto tale, non può mai costituire il corrispettivo di un servizio reso. Questo è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3756 del 9 marzo scorso, in aperto contrasto con la tesi espressa dal Dipartimento delle politiche fiscali, nella circolare n. 3 del 2010.Con quest'ultimo documento di prassi, le Finanze avevano tentato di bloccare le istanze di rimborso dei contribuenti rilevando la continuità esistente tra la Tia1 (articolo 49, Dlgs 22/1997) e la Tia2 (articolo 238, Dlgs 152/2006). 
La Tia2 è stata, infatti, dichiarata entrata patrimoniale, soggetta a Iva, con la disposizione interpretativa di cui all'articolo 14, comma 33, Dl 78/2010. Senonché, proprio questa tesi è stata smentita dall'ultima pronuncia della Cassazione. 
Prima di arrivare a questa nuova pronuncia (che di sicuro non sarà l'ultima), la giurisprudenza e la dottrina si sono più volte interessati della questione della tariffa rifiuti, anche per l'assoluta incertezza normativa che la domina.
Si cercherà di ricostruire la vicenda.
La Tia (tariffa di igiene ambientale) è stata introdotta dall'art. 49 del D.lgs 22/97 (Decreto Ronchi) ed avrebbe dovuto sostituire nel giro di pochi anni la vecchia Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), ma sin dalla sua nascita ha avuto vita difficile, tanto che solo una minoranza di comuni ha effettuato il passaggio. 
Molto è stato scritto sulla Tariffa, in particolar modo sulla sua natura giuridica. La Tia presentava infatti, caratteri di continuità con la vecchia Tarsu, tali da sostenerne la natura tributaria, ma al contempo esprimeva anche elementi di novità tali da optare per la sua natura privatistica alla stregua di altri servizi pubblici (luce, acqua, gas). La scelta dell'una o dell'altra soluzione poneva delle conseguenze pratiche rilevantissime, pertanto la questione ha richiesto il pronunciamento delle Corte Costituzionale. 
La Consulta ha dovuto decidere circa la legittimità costituzionale dell'art. 2 comma 2 del d.lgs 546/92, ovvero sulla devoluzione alle Commissioni Tributarie della competenza a decidere sulle questioni inerenti lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Tale norma infatti, pur avendo una valenza meramente processuale e pur non essendo formalmente compresa nè richiamata nei decreti legislativi che hanno introdotto e rinnovato la tariffa (22/97 e 152/06), è risultata essere la chiave di volta di tutto l'impianto normativo. Di fatto si era venuta a creare una situazione abbastanza paradossale per cui le Commissioni Tributarie, da un lato rivendicavano legittimamente la competenza a decidere sulle controversie in materia di Tia, ma dall'altro, entrando nel merito delle questioni sottoposte, ne riconoscevano la natura non tributaria, andando in tal modo a snaturare la loro stessa competenza rivolta esclusivamente e necessariamente a problematiche di tipo tributario.
Nel corso dell'anno 2008, la Corte Costituzionale (sentenze 64 e 130) si era già pronunciata sull'art. 2 del D.lgs 546/92, dichiarandone l'incostituzionalità delle parti in cui devolveva alle Commissioni tributarie le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche e alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non tributarie. Il principio invocato dalla Consulta era quello secondo cui "il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l'attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un nuovo giudice speciale". Ed è proprio a seguito di questo preciso orientamento giurisprudenziale che la Commissione tributaria di Prato aveva chiesto l'apertura del giudizio di costituzionalità. 
Con la sentenza 238/09 la Consulta ha posto fine alla lunga diatriba sulla natura giuridica della Tia concludendo per la natura tributarie e confermando quindi la competenza del giudice tributario.
La Corte Costituzionale non manca di chiarire che la nozione di tributo prescinde dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i singoli prelievi e che consiste piuttosto, nella doverosità della prestazione richiesta, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante.
La Consulta ha inoltre affermato una analogia sostanziale e una continuità tra la vecchia Tarsu e la nuova Tariffa di igiene ambientale, tale da non mutare la natura giuridica di quest'ultima. Le somiglianze rilevate: il fatto generatore dell'obbligo del pagamento è legato non all'effettiva produzione dei rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all'utilizzazione di superfici potenzialmente idonei a produrre rifiuti; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono in regime di privativa sulla base di una disciplina regolamentare da essi unilateralmente fissata; i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; il metodo normalizzato per la determinazione della Tia è pienamente coerente con i criteri fissati dalla legge per la commisurazione della Trasu (per entrambi i prelievi rileva la potenziale produzione di rifiuti valutata per tipo di uso delle superfici tassabili).; estraneità all'abito di applicazione dell'IVA ovvero l'inesistenza di un nesso diretto tra servizio ed entità del prelievo porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento all'Iva e caratterizzato dal pagamento di un corrispettivo per la prestazione dei servizi.
Pur essendo applicata da una minoranza di Comuni, la Tariffa di igiene ambientale è stata abrogata dalla Tariffa integrata ambientale (Tia 2), di cui all'art. 238/06, che ha istituito un nuovo sistema tariffario che si caratterizza anche esso come corrispettivo per lo svolgimento dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per coprire i costi di gestione delle discariche. Trattasi di un contributo commisurato alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. La situazione attuale della disciplina transitoria prevede che sia un apposito regolamento a definire i criteri generali per la determinazione della tariffa; tale regolamento però non è stato ancora emanato. La disciplina della Tia 2 ha fatto ritenere che fosse assoggettabile ad Iva, ma la sentenza 3756 smentisce tale visione.
Ne deriva un evidente impulso alla riattivazione delle istanze di rimborso dell'Iva pagata dai cittadini, spesso tenute in sospeso, in forza della suddetta circolare n. 3. 
A tale scopo, sarà sufficiente verificare se la fattura emessa è intestata al gestore, al quale va inoltrata la domanda di rimborso. Nei casi meno diffusi in cui, invece, è stato il Comune a riscuotere l'entrata, con assoggettamento ad Iva, la domanda andrà inoltrata all'ente locale.
Prima di presentare le domande occorre tuttavia fare delle verifiche. In primo luogo, è ovvio che nessun rimborso potrà essere richiesto ai Comuni che hanno applicato la Tarsu. In questi casi, poiché l'Iva non è mai stata addebitata, nulla potrà essere preteso in restituzione a tale titolo. In caso di applicazione della tariffa, inoltre, occorre accertare di che tipo di tariffa si tratta. Potrebbe infatti essere accaduto che il Comune, con apposita delibera regolamentare, abbia deciso di istituire la Tia2, in luogo della Tia1 (si veda l'articolo in pagina). In tale eventualità, l'ostacolo è rappresentato dalla sopra citata norma interpretativa, di cui all'articolo 14, Dl 78/2010, che ne ha sancito la natura patrimoniale, in quanto tale da assoggettare ad Iva.
Il punto è, però, che in presenza di un'entrata che funziona esattamente come l'omologa entrata tributaria (la Tia1), appare difficile sostenere che il regime giuridico è completamente diverso.
A ciò si aggiunga che, per consolidata tradizione dottrinale e giurisprudenziale, per stabilire la natura di un prelievo occorre dare prevalenza non alle espressioni letterali utilizzate dal legislatore ma al modo di funzionamento dello stesso. Si dovrebbe allora presentare al gestore un'istanza di rimborso dell'Iva pagata e quindi adire la magistratura ordinaria, per chiedere in via pregiudiziale l'illegittimità della disposizione di cui all'articolo 14, comma 33, Dl 78/2010, per violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Se la Consulta dovesse accogliere l'eccezione, la Tia2 verrebbe riqualificata come entrata tributaria, rientrando così nella medesima disciplina giuridica della Tia1.
Le cose sono, invece, decisamente più semplici nei Comuni che hanno applicato la Tia1. Sarà in questo caso sufficiente presentare un'istanza di rimborso al gestore del servizio pubblico e  quindi, in caso di rifiuto, citare lo stesso in giudizio davanti al giudice ordinario.
In caso di richiesta di restituzione dell'Iva da parte di un consumatore finale, infatti, si è in presenza di una controversia tra privati, che non origina dall'emissione di un atto impositivo. Ne consegue l'incompetenza delle Commissioni tributarie e la cognizione del giudice ordinario (tra le tante, Cassazione, sentenza 2064 del 2011).
Il termine per presentare l'istanza di rimborso dovrebbe essere quello di dieci anni dal pagamento, trattandosi di un indebito oggettivo.
Maria Giovanna Laurenzana




domenica 11 marzo 2012

LE REGIONI NON HANNO POTERI LEGISLATIVI IN MATERIA DI RIFIUTI NUCLEARI:CORTE COSTITUZIONALE sent. n. 54 del 9 marzo 2012

Come già avvenuto con la sentenza n. 331 del 2010 (impugnazione della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2009, n. 30 "Disposizioni in materia di energia nucleare", della legge della Regione Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1 "Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – L.R. n. 9/2007", e della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – Legge finanziaria anno 2010", la Consulta si pronuncia ancora una volta su una legge regionale che dispone in materia di energia e rifiuti nucleari, dichiarandone l'illegittimità parziale.
La disposizione in oggetto è la legge della Regione Molise 21 aprile 2011, n. 7 (Disposizioni in materia di produzione di energia), in particolare l'art. 1 che prevede: "tenuto conto degli elevati rischi connessi alla sismicità ed al dissesto idrogeologico del territorio, è preclusa nella regione, in assenza di intesa con lo Stato, l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi".
La Regione Molise, con l’art. 1 della legge 27 maggio 2005, n. 22 (Disciplina regionale in materia di rifiuti radioattivi), aveva già vietato il deposito, anche temporaneo, e lo stoccaggio di materiali nucleari non prodotti nel territorio regionale, ad esclusione dei materiali necessari per scopi sanitari e per la ricerca scientifica. Tale legge è stata dichiarata incostituzionale.
Anche in questa occasione la Consulta ribadisce il principio secondo cui nessuna Regione – a fronte di determinazioni di carattere ultraregionale, assunte per un efficace sviluppo della produzione di energia elettrica nucleare – può sottrarsi in modo unilaterale ai conseguenti inderogabili oneri di solidarietà economica e sociale. Ciò vale evidentemente anche per i sacrifici connessi alla procedura di stoccaggio e smaltimento dei materiali e dei rifiuti, la cui disciplina resta vigente indipendentemente dall’impatto sul settore dell’energia nucleare degli esiti del referendum abrogativo, che ha riguardato i commi 1 e 8 dell’art. 5 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34 (Disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della Regione Abruzzo), convertito con modificazioni dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, oggetto del quesito come riformulato dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione con ordinanza 1-3 giugno 2011.
Viene ribadito inoltre che le disposizioni relative al settore dei materiali e rifiuti radioattivi vanno ascritte alla materia, di esclusiva competenza statale, «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
Non può rilevare in proposito la ragione secondo cui la prevenzione degli elevati rischi connessi alla sismicità ed al dissesto idrogeologico del territorio molisano sarebbe sufficiente a ritagliare una competenza legislativa in materia assimilabile alle categorie della protezione civile, della salute pubblica o del governo del territorio. Tanto premesso, la Corte Costituzionale ha specificamente negato che la Regione disponga di poteri in campo ambientale alla stregua del titolo di competenza rappresentato dalla «protezione civile», in presenza della competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
La Corte Costituzionale ha altresì escluso la competenza concorrente della Regione in materia di «salute pubblica», affermando che i poteri regionali «non possono consentire, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili, come nella specie, di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio, come avverrebbe in caso di impossibilità o difficoltà a provvedere correttamente allo smaltimento di rifiuti radioattivi». Secondo l'orientamento consolidato della Corte Costituzionale, con particolare riferimento a rifiuti pericolosi come quelli radioattivi,  il problema dello smaltimento – e, più in generale, del loro deposito e di quello di materiali nucleari, considerate le analoghe esigenze di cautela che pongono – non può essere risolto, alla luce della rilevanza nazionale degli interessi in gioco, sulla base di un criterio di “autosufficienza” delle singole Regioni, poiché occorre tener conto quantomeno della necessità di trovare siti particolarmente idonei per conformazione del terreno e possibilità di collocamento in sicurezza.
Detto altrimenti, secondo quanto asserito nelle diverse pronunce della Consulta, lo smaltimento dei rifiuti radioattivi è un problema di interesse nazionale, per cui la necessità di trovare un sito idoneo a tale duratura, pericolosa e incerta attività non troverebbe alcun ostacolo nelle ragioni delle Regioni.

martedì 6 marzo 2012

vuoto a rendere opportunità o problema?

Vuoto a rendere.
Per gran parte degli italiani è solo un ricordo, i più giovani non l’hanno mai neanche sperimentato. Eppure, in diversi Paesi del Centro e Nord Europa, il sistema funziona bene e permette una riduzione dei rifiuti alla fonte. Il governo italiano ha provato a introdurlo anche in Italia, ma il primo tentativo è andato, manco a dirlo, a vuoto. Nelle prime bozze del decreto sulle liberalizzazioni che sono circolate a fine gennaio prima della pubblicazione definitiva del dl in Gazzetta Ufficiale, infatti, era stato inserito un articolo sul vuoto a rendere, che ha scatenato polemiche e discussioni senza fine.

Il convegno “Vuoto a rendere: opportunità o problema?” organizzato da Kyoto Club lunedì 5 marzo è stata l’occasione per fare il punto sul provvedimento, per il momento accantonato dall’esecutivo, con le diverse parti interessate: il ministero dell’Ambiente, i consorzi di raccolta e riciclo, Legambiente, l’Anci, Federambiente e alcuni rappresentanti dell’industria delle bevande.

«Quando se ne parlò nel 1997, l’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi decise poi per un’altra strada, quella del riciclo attraverso i consorzi, che si è rivelata un successo. Oggi c’è però da chiedersi se è possibile migliorare ulteriormente il sistema riducendo la quantità dei rifiuti in circolo», sottolinea Francesco Ferrante, vice presidente del Kyoto Club e senatore Pd.
Avviando una «fase 2.0 degli imballaggi» che farebbe solo bene al nostro Paese, come sottolinea il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani.

Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, traccia il quadro generale: «Il provvedimento del vuoto a rendere si inserisce nel quadro di un aumento del costo delle materie prime negli ultimi dieci anni. Il sistema è in vigore in diversi Paesi. In Germania, per esempio, il settore delle bottiglie della birra è quello che funziona meglio, e si basa principalmente sul consumo locale». Le criticità potrebbero essere una «possibile complessità nella gestione del sistema», i «costi per avviare e gestire il sistema», oltre a «possibili interazioni negative con la raccolta differenziata». Significativi, però, anche i vantaggi: «Riduzione del volume dei rifiuti, risparmio energetico, riduzione delle emissioni e aumento dei posti di lavoro».

I tedeschi, in realtà, come spiega il presidente di Federambiente Daniele Fortini, «hanno due circuiti di vuoto a rendere: uno per il recupero e l’altro per il riciclo. in italia occorre valutare la praticabilità del sistema, che
comunque non può essere quello utilizzato 40 anni fa».

L’ipotesi del ministero: sistema valido per imballaggi in plastica, vetro e alluminio. I costi scaricati su chi non restituisce i vuoti.
Il sistema che sta mettendo a punto il ministero dell’Ambiente prevedrebbe il vuoto a rendere solo per alcuni tipi di imballaggi: «Bottiglie in PET, bottiglie e altri contenitori in vetro, imballaggi in alluminio», spiega il sottosegretario all’Ambiente Tullio Fanelli. Ma chi pagherà i costi? «Un solo soggetto: chi non restituisce i vuoti. Secondo la logica “Chi inquina paga”, mentre nessuno degli altri soggetti ci deve rimettere un euro. Avrei addirittura l’ambizione che essi possano guadagnare qualcosa dal recupero», spiega Fanelli, che ha fatto dei conti precisi: «Ogni anno saranno immessi sul mercato 10 miliardi di pezzi. Calcolando una cauzione di 20 centesimi a pezzo, arriviamo a 2 miliardi. Se il 10% di questi imballaggi non venissero ridati
indietro, e quindi non fosse restituita la cauzione, si otterrebbe un tesoretto di 200 milioni di euro. Le risorse necessarie cioè per far funzionare il sistema».

Conai:«La norma del governo poco chiara. Tante le questioni aperte» Alla notizia di un’introduzione del vuoto a rendere, i Consorzi per la raccolta e il riciclo hanno temuto che un sistema funzionante come il loro
potesse essere messo a rischio. Oggi il presidente di Conai Roberto De Santis spiega: «Ci sono delle questioni da chiarire: per quanto riguarda la cauzione, il sistema coinvolgerà produttori e distributori, o anche i consumatori? E sarà finalizzato al riutilizzo o al riciclo? Mi sembra di capire che la norma del governo fosse finalizzata al riciclo, ma non diceva niente sull’organizzazione a valle del sistema. Non c’era scritto niente sulla logistica, né si specificava di chi erano gli imballaggi una volta raccolti».

Comuni: «Perché cambiare un sistema che funziona? Fare prima sperimentazione»
I più scettici sono indubbiamente i comuni italiani, che attualmente ricevono un corrispettivo in base alla raccolta differenziata effettuata sul loro territorio. «Si deve affrontare il sistema del vuoto a rendere senza stravolgere un sistema. Perché cambiarlo, quando raggiunge punte del 65-70% di raccolta differenziata?», chiede il responsabile Energia e rifiuti dell’Anci Filippo Bernocchi. La proposta dei Comuni italiani è di «sperimentare il vuoto a rendere in un Ato tipo per due o tre anni, valutando le conseguenze e i possibili risparmi per i cittadini».

L’industria: a favore, ma senza gravare troppo sul consumatore
Una buona fetta dell’industria è favorevole al vuoto a rendere, dati i notevoli risparmi che il sistema comporterebbe. «Per quanto riguarda il settore dei consumi fuori casa, vediamo solo punti di forza. L’unico dato critico riguarda l’utilizzo di acqua per rigenerare le bottiglie, anche se quell’acqua poi può essere riutilizzata», spiega Giuseppe Cuzziol, presidente di Italgrob (Federazione italiana grossisti e distributori di bevande ), che insieme a Legambiente e Fipe-Confcommercio ha promosso il progetto sperimentale di vuoto a rendere Vetro indietro. L’unica preoccupazione, almeno per il settore degli alcolici, «è che i costi si riversino sul consumatore», causando un calo dei consumi, sottolinea il presidente di Assobirra Alberto Frausin. 
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, propone invece «un sistema di cauzioni che ne preveda il pagamento da parte di tutti i soggetti della catena, dal grossista fino al consumatore. A quest’ultimo, la cauzione verrebbe restituita sotto forma di titolo di credito».
Rosanna Carbotti



giovedì 1 marzo 2012

LE PROROGHE IN MATERIA AMBIENTALE DOPO LA CONVERSIONE DEL D.L. 216/2011

Nella Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio 2012 è stata pubblicata la Legge 24 febbraio 2012 n. 14 di conversione del decreto legge 216,  recante "Proroga di termini previsti da disposizioni normative". L'articolo del decreto che interessa la materia ambientale è il 13 il cui testo sarebbe il seguente:
                             
                  Art. 13 
 
 
              Proroga di termini in materia ambientale 
 
  1. Fino al 31 dicembre 2012, ai ((presidenti)) degli Enti parco  di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, non si  applica  il  comma  2 dell'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 
  ((1-bis. All'articolo 2, comma 3-bis, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26  febbraio 2011, n. 10, le parole: "30 settembre  2011"  sono  sostituite  dalle
seguenti: "31 dicembre 2012")). 
  2. Il termine di cui all'articolo 2, comma 186-bis, della legge  23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, come prorogato  ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 2,  del  decreto-legge  29  dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26  febbraio 2011, n. 10,  e  dal  ((decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri 25 marzo 2011, recante ulteriore proroga di termini relativa al Ministero dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  e  del mare,)) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo  2011, e' prorogato al 31 dicembre 2012. 
  3. All'articolo 6, comma 2, secondo periodo, del  decreto-legge  13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  14 settembre 2011, n. 148, le parole: "9 febbraio 2012" sono  sostituite dalle seguenti: "((30 giugno 2012))." ((A  decorrere  dalla  data  di entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto, per la gestione del Sistema di  controllo  della  tracciabilita'  dei rifiuti (SISTRI), la competente Direzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare puo' avvalersi dell'Istituto superiore  per  la  protezione  e  la  ricerca  ambientale   per   lo svolgimento di tutte le attivita' diverse da quelle  individuate  dal contratto in essere avente  ad  oggetto  la  fornitura  del  relativo sistema informatico e la  gestione  del  relativo  sito  internet.  A decorrere  dal  medesimo  termine,  ogni   sei   mesi   il   Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare trasmette alle Camere  una  relazione  sullo  stato  di  attuazione  del  SISTRI.  A quest'ultimo fine, per quanto attiene alla verifica del funzionamento tecnico del sistema,  la  competente  Direzione  del  Ministero  puo' avvalersi di DigitPA, secondo modalita'  stabilite  con  decreto  del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,  di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'universita'  e  della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla  data  di  entrata  in vigore   della   legge   di   conversione   del   presente   decreto.
Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica)). 
  ((3-bis.  All'articolo  6,  comma   2,   lettera   f-octies),   del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito,  con  modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, le parole: "al  1º  giugno  2012" sono sostituite dalle seguenti: "al 30 giugno 2012")). 
  4. All'articolo 39, comma 9, del  decreto  legislativo  3  dicembre 2010, n. 205, le parole "31  dicembre  2011"  sono  sostituite  dalle seguenti: "2 luglio 2012". 
  5. ((5. All'articolo 11 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: 
    a) al comma 2-ter, le parole: "31 dicembre 2011" sono  sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2012"; 
    b) al comma 5-bis, le parole: "Per gli  anni  2010  e  2011",  le parole: "30 settembre 2011" e le parole: "per gli anni 2010 e  2011"» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: "Per gli anni 2010, 2011 e 2012", "30 settembre 2012" e "per gli anni 2010, 2011 e 2012"; 
    c) al comma 5-ter, le parole: "Per gli anni  2010  e  2011"  sono sostituite dalle seguenti: "Per gli anni 2010, 2011 e 2012"; 
    d) il comma 5-quater e' sostituito dal seguente: 
    «5-quater. Fino al 31 dicembre 2012, nella regione  Campania,  le societa' provinciali, per l'esercizio delle funzioni di  accertamento e riscossione  della  TARSU  e  della  TIA,  potranno  continuare  ad avvalersi dei soggetti di cui all'articolo 52, comma 5,  lettera  b), numeri 1), 2) e 4), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. In ogni caso  i  soggetti  affidatari,  anche  disgiuntamente,  delle attivita' di accertamento e  riscossione  della  TARSU  e  della  TIA continuano a svolgere dette attivita' fino alla scadenza dei relativi contratti, senza possibilita' di proroga o rinnovo degli stessi")). 
  6. Il termine di cui all'articolo  6,  comma  1,  lettera  p),  del decreto  legislativo  13  gennaio   2003,   n.   36,   e   successive modificazioni, come da ultimo prorogato  ai  sensi  dell'articolo  1, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225,  convertito, con modificazioni, dalla  legge  26  febbraio  2011,  n.  10,  e  dal ((decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri  25  marzo  2011, recante  ulteriore  proroga  di   termini   relativa   al   Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,))  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31 marzo 2011, e' prorogato al  31dicembre 2012. 
  7.  Il  termine  di  cui  all'articolo  7,  comma  2,  del  decreto legislativo 27 marzo 2006, n. 161, e successive  modificazioni,  come prorogato ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 2 del decreto-legge  29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge  26 febbraio 2011, n. 10, e dal ((decreto del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri 25 marzo 2011,  recante  ulteriore  proroga  di  termini relativa al Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e del mare,)) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74  del  31  marzo 2011, e' prorogato al 31 dicembre 2012.

Come è evidente il c.d. Decreto Milleproroghe contiene un'ulteriore proroga per l'avvio dell'operatività del SISTRI. Infatti per le medie e grandi imprese la nuova data di avvio del sistema è fissata al 30 giugno 2012. Mentre per i piccoli produttori di rifiuti pericolosi (cioè quelli che hanno fino a 10 dipendenti) si dovrà attendere un apposito decreto ministeriale che ne fisserà l'avvio definitivo. Fino a tali date resta operativo per le imprese interessate, il regime documentale del registro di carico e scarico e FIR accanto agli adempimenti delle formalità del SISTRI. Pertanto in questa fase intermedia solamente la compilazione del registro di carico e scarico e del formulario garantiscono l'assolvimento degli obblighi di legge

lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.