venerdì 27 gennaio 2012

Sent. TAR Campania-Napoli, 17 gennaio 2012 n.218. IL PROPRIETARIO INCOLPEVOLE DEL FONDO NON HA L'OBBLIGO DI ATTIVARSI PER LA BONIFICA DEL TERRENO


In caso di rinvenimento di rifiuti da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, per cui lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino” (Cfr: T.A.R. Campania, Sez. I; 19 marzo 2004, n. 3042, T.A.R. Toscana, 12 maggio 2003, n. 1548, C. di S., IV Sez. 20 gennaio 2003, n. 168). Tanto perché l’art. 14 D.L. vo 5 febbraio 1997, n. 22, in tema di divieto di abbandono incontrollato sul suolo e nel suolo, oltre a chiamare a rispondere dell’illecito ambientale l’eventuale “responsabile dell’inquinamento”, accolla in solido anche al proprietario dell’area la rimozione, l’avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi, ma ciò solo nel caso in cui la violazione fosse imputabile a titolo di dolo o di colpa (Cfr: T.A.R. Lombardia, Sez. I, 26 gennaio 2000, n. 292 e T.A.R. Umbria 10 marzo 2000, n. 253). Questo è quanto afferma il Tribunale amministrativo della regione Campania, a seguito dell’impugnazione di un provvedimento con il quale si ordinava ad un  Istituto Diocesano  proprietario di un terreno sito in Casal di Principe, di presentare alle Autorità competenti il piano di caratterizzazione, ai sensi dell’art. 242 del D.L. vo n. 152/2006 e successive modifiche e la rimozione successiva dei rifiuti e la totale bonifica dell’area.
Il suddetto provvedimento era nato all’esito di un accertamento della Polizia da cui è emerso che: “a seguito di uno scavo all’interno della proprietà sopradescritta, si riscontrava che, sotto uno strato di brecciame, alto circa 50-90 cm, risultavano sversati, per una profondità di circa 6-7 m. e comunque fino alla prima falda acquifera e per l’intera area, rifiuti speciali per circa 50.000 metri cubi, la cui pericolosità è in corso di accertamento”.
La decisione in esame è motivata dal fatto che il terreno in oggetto era stato ceduto in conduzione agricola già dal 1979, e soltanto in fase di esecuzione di scioglimento del contratto agrario si è scoperto che il fondo oggetto dell’esecuzione era stato interessato da provvedimento di sequestro risalente al 2009 emanato dal Tribunale penale di Napoli nell’ambito di procedimento per reati di camorra; tanto determinava l’Ufficiale Giudiziario a sollevare incidente di esecuzione ed a rimettere gli atti al Giudice dell’esecuzione.
Il terreno venne poi dissequestrato, con provvedimento del Tribunale di Santa Maria C.V. del 22 aprile 2010, con il quale è stata ordinata la restituzione al legittimo proprietario, il quale, tuttavia, ne rientrava in possesso soltanto in data 16 marzo 2011. Dunque, l’assenza di possesso del terreno ed il mancato utilizzo da parte dei proprietari del terreno per lungo tempo ne ha escluso la presenza dell’elemento soggettivo, anche nella forma della culpa in vigilando, nella creazione della discarica abusiva. Il ricorso dell’Istituto diocesano è stato accolto ed il TAR Campania ha riconosciuto la violazione dell’art. 242, commi 3 e 4 del D.L. vo n. 152/2006 e di eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
Cerchiamo quindi di fare un analisi, anche se superficiale dell’art. 242 del codice dell’ambiente. Esso si trova nell’area dedicata alla bonifica dei siti contaminati e descrive le procedure amministrative ed operative che devono essere eseguite in caso di un evento che sia in grado di contaminare il sito o del rinvenimento di una contaminazione storica che possa comportare rischio di aggravamento della situazione di contaminazione. Oltre a descrivere i tempi e le modalità entro cui il responsabile dell’inquinamento deve seguire nelle diverse fasi dell’istruttoria sono fissati i tempi entro cui l’autorità competente deve approvare i documenti presentati. Il procedimento si svolge sia sul piano della tempestiva informazione da parte del responsabile dell’inquinamento e da parte del proprietario o del gestore del sito; sia sul piano dell’adozione di misure urgenti e della predisposizione di indagini e di programmi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati, anche attraverso specifici accordi di programma, definiti dall’art. 246, con le amministrazioni competenti, da parte del responsabile dell’inquinamento.
Il primo comma non solo introduce il concetto di inquinamento potenziale ma pone a carico del responsabile della contaminazione una serie di attività (attuare misure necessarie preventive e obbligo di comunicazione dell’evento al Comune, alla Provincia, alla Regione oltre al Prefetto della Provincia che a sua volta deve informare il Ministero dell’Ambiente). Rispetto al decreto Ronchi, che a proposito del responsabile dell’inquinamento prevedeva una sorta di responsabilità oggettiva, il comma secondo dell’articolo 242 si discosta da tale orientamento considerando il concetto di responsabilità ancorato a condotte dolose o colpose del soggetto persona fisica o giuridica; con il Codice dell’ambiente la responsabilità dell’inquinatore è stata ricondotta nell’ alveo della responsabilità extracontrattuale soggettiva, con esclusione di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva. La norma infatti, non contiene alcun riferimento ad eventi meramente accidentali.
Altro aspetto essenziale della nuova disciplina è il riferimento al c.d. inquinamento potenziale che fa abbandonare il precedente regime basato sul pericolo concreto ed attuale che viene, secondo parte della dottrina, ad essere implicitamente contenuto in questo.
Quanto detto sembra confermare la sentenza del TAR Campania, anche se i precedenti giurisprudenziali da esso richiamati sono antecedenti rispetto all’attuale disciplina; tuttavia si richiamano alcune pronunce giurisprudenziali che prevedono un onere di attivazione da parte del proprietario del fondo. 
Secondo una giurisprudenza non proprio minoritaria, “il proprietario, ove non sia responsabile dell’inquinamento, ha non tanto l’obbligo quanto piuttosto l’onere di provvedere agli interventi di bonifica, se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area come reale e privilegio speciale immobiliare” (Cons di Stato 4525/2005, Tar Campania 20141/2005). “Il proprietario, qualora non coincida con il responsabile dell’inquinamento e questi non sia identificabile finisce comunque per essere il soggetto gravato dal punto di vista economico, poiché l’Ente pubblico che ha provveduto all’esecuzione dell’intervento può recuperare le spese sostenute nei limiti del valore dell’area bonificata, anche in suo pregiudizio” (Tar Lombardia 291/2006).
Si richiama inoltre una sentenza del TAR Campania ove sostanzialmente si sostiene quanto asserito dalla sentenza in esame, ma si sofferma anche sulla rilevanza di un comportamento negligente ed inerte del proprietario del fondo il quale, laddove ne abbia la possibilità, non eviti o limiti lo smaltimento illecito dei rifiuti sul suo fondo. “Va censurato (ex multis, TAR CAMPANIA, 15.12.2010, n.27375; 15.12.2009, n.8739; 9.6.2009, n.3159; 5.8.2008, nn. 9796 e 9795; 14.2.2008, n.841; 23.5.2007, n.5606; 16.4.2007, n.3727; 7.3.2007, n.1407; ma anche, T.A.R. Lombardia, Brescia, 15.5.2009, n.1038; Cons. Stato, V, 3.2.2006, n.439; 8.3.2005, n.935) l’operato dell’Amministrazione ogni qualvolta essa ometta di dedurre in concreto profili di responsabilità a titolo di dolo o colpa in capo al soggetto sanzionato, che sono necessari per l’imposizione dell’obbligo di rimozione dei rifiuti dal momento che non è sufficiente una generica “culpa in vigilando”; la stessa condizione di colpa che, ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, rende corresponsabile il proprietario di un fondo con gli autori materiali dell’abbandono non autorizzato di rifiuti, consentendo al Comune di ingiungergli di provvedere al loro smaltimento sotto pena di esecuzione in danno, consiste per lo più nella negligenza dimostrata da una sua prolungata inerzia, incombendo allo stesso l'obbligo di adoperarsi, attraverso misure efficaci e non meramente simboliche, affinché siffatti episodi non vengano posti in essere e, comunque, abbiano a cessare (Cons. Stato, V, 25.1.2005, n.136; T.A.R. Friuli V.G., 29.9.2000, n. 692) (Nella specie, non è stata ritenuta sussistente la colpa del proprietario di un’area che, per le sue caratteristiche anche in termini di estensione e modalità di uso, era oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, il che limitava in concreto la possibilità di custodia e vigilanza). (TAR Campania n. 1481/2011). 

1 commento:

  1. Si richiama una recente sentenza della Suprema Corte, secondo la quale "risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti il proprietario che conceda in locazione un terreno a terzi per svolgervi un'attività di smaltimento di rifiuti, in quanto incombe sul primo, anche al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), l'obbligo di verificare che il concessionario sia in possesso dell'autorizzazione per l'attività di gestione dei rifiuti e che questi rispetti le prescrizioni contenute nel titolo abilitativo e quindi almeno sotto il profilo della culpa in vigilando" (Cass. Sez. III n. 3580 del 30 gennaio 2012)

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