Prima dell'entrata in vigore del regolamento previsto dall'art. 23 bis d.l. 112/2008, i servizi pubblici locali di rilevanza economica potevano essere erogati (d.lgs 267/2000) o da parte di società di capitali individuate attraverso procedure ad evidenza pubblica, o da parte di società a capitale misto pubblico e privato, nelle quali però il socio privato fosse scelto attraverso gare a evidenza pubblica (predeterminando necessariamente i futuri compiti operativi dello stesso), oppure da parte di società in house. In quest'ultimo caso, l'Amministrazione eroga il servizio in modo diretto seppure con l'intermediazione di un'entità societaria la quale, soddisfatti determinati requisiti, è considerabile una longa manus dell'amministrazione.
Le società in house sono state oggetto di numerose sentenze della Corte di Giustizia poichè ogni volta che un soggetto pubblico conclude un contratto che sia di concessione o di appalto con un soggetto terzo, è interesse del diritto comunitario che siano rispettati determinati principi posti a tutela della concorrenza tra tutte le imprese dell'UE.
La Corte di Giustizia con la famosa sentenza Teckal del 18 novembre 1999 ha fatto chiarezza sulle condizioni necessarie affinchè il contratto di concessione con cui viene affidata la gestione di un servizio pubblico non debba essere necessariamente preceduto da una procedura concorrenziale. tali condizioni sarebbero: il c.d. controllo analogo (che si ha quando l'amministrazione effettua un controllo sulla società analogo a quello che la società ha sui propri servizi, garantito dalla necessaria assenza totale di apporto di capitale privato e una partecipazione totale pubblica, nonchè da una serie di ulteriori limiti tra cui l'impossibilità prevista dallo statuto di alienare quote di capitale a soggetti privati) e la realizzazione della parte più importante delle attività della società con l'Ente pubblico che la controlla. In tali casi la società in house non può essere considerata un soggetto terzo rispetto all'amministrazione affidante.
A livello nazionale, l'art. 35 L. 448/2001 e l'art. 14 d.l. 269/2003 hanno successivamente vietato la gestione formalmente pubblica dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, imponendo, in caso di scelta per la gestione sostanzialmente pubblica, l'impiego delle forme societarie (in house).
L'art. 23 bis d.l. 112/ 08 ha rovesciato gli equilibri abrogando il comma 5 dell'art. 113 del TUEL e ha prescritto che in via ordinaria, la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debba essere affidata a imprenditori o società private scelte mediante procedure a evidenza pubblica e privata, a condizione che venisse messa a gara la qualità di socio privato congiuntamente all'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, e che al socio venisse attribuita una partecipazione non inferiore al 40%. Si era quindi optato per un modello di gestione dei servizi pubblici locali improntato al ricorso al mercato.L'art. 23 bis è stato oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale, la quale ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale, affermando la piena compatibilità dell'articolo sia con la normativa comunitaria sia con la normativa nazionale (sentenza n. 325 del 17/11/2010).
Come noto, l'articolo 23 bis è stato oggetto di consultazione referendaria e di conseguente totale abrogazione.
Successivamente l'art. 4 del dl 138/2011 modificato dalla legge di conversione 148/2011 e dal d.l. 1/2012, rubricato "adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'unione europea" ha nuovamente regolamentato l'affidamento dei servizi pubblici locali dettando una disciplina che ricalcava l'impostazione dell'art. 23 bis quanto alla ratio liberalizzatrice e pro-concorrenziale, imponendo l'esternalizzazione dei servizi e rendendo ancor più remote le ipotesi eccezionali di affidamento diretto. La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la normativa poichè viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare ex art. 75 Cost.
Ad oggi la gestione dei servizi pubblici locali è regolata dai principi comunitari, dall’art. 113 TUEL, dall’art. 3 bis del DL 138/2011, dal nuovo art. 34 commi 13-18 del DL 179/2012 (ancora non convertito) e dalle varie leggi di settore.
Il DL crescita bis in un lungo articolo rubricato “Misure urgenti per le attività produttive, le infrastrutture e i trasporti,i servizi pubblici locali, la valorizzazioni dei beni culturali ed i comuni” torna a disciplinare la materia in oggetto. Il comma 13 dell’art. 34 -per assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire una adeguata informazione alla collettività di riferimento- dispone che l’affidamento del servizio sia effettuato sulla base di una apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
Il comma 16 aggiunge il comma 1 bis all’art. 3-bis del DL 138/2011, disponendo che le procedure per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei (di cui al comma 1).
Per quanto riguarda il periodo transitorio il comma 14 prevede che per gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto, la relazione prevista al comma 13 deve essere pubblicata entro il 31 dicembre 2013. Per gli affidamenti per i quali non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, un termine di scadenza dell’affidamento, pena la cessazione del rapporto medesimo alla data del 31 dicembre 2013. Gli affidamenti diretti nati alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c., cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza cessano improrogabilmente e senza necessità di un’apposita deliberazione dell’ente, il 31 dicembre 2020 (c. 15).
Tali disposizioni non si applicano al servizio di distribuzione del gas naturale e al servizio di distribuzione di energia elettrica, già disciplinati da leggi di settore.
Maria Giovanna Laurenzana
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