martedì 23 settembre 2014

Fiscalità ambientale: davvero “chi inquina paga”?

tratto da Rinnovabili.it
di Maria Giovanna Laurenzana

Entro un anno, secondo quanto disposto dall’art. 15 della legge 23/2014, la cd delega fiscale, il governo dovrà superare l’inadeguatezza degli attuali sistemi giuridici e adottare, con opportuni decreti legislativi,  nuove  forme  di  fiscalità cd ambientali e a rivedere la disciplina delle accise  sui prodotti  energetici  e sull’energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo.
In vista della riforma ECBA project ha confrontato i costi esterni ambientali delle attività economiche con il gettito derivante da fiscalità ambientale, corrisposto dagli stessi settori.
Dall’indagine di ECBA Project sui costi esterni associati alle emissioni in atmosfera dei settori dell’economia italiana emerge che la stima totale dei costi esterni associati alle emissioni in atmosfera di tutti i settori di attività, famiglie incluse, ammonta a 48,3 miliardi nel 2012, pari al 3,1% del PIL. Dato che in base all’ultima indagine dell’Istat il gettito dell’attuale regime di imposte ambientali, includendo le imposte sull’energia, è stato di 45,5 miliardi di euro nel 2012, il grado di copertura delle esternalità ambientali da parte del fisco è apparentemente molto elevato, ovvero pari al 94%. In realtà, l’analisi di dettaglio evidenzia forti iniquità fra settori.
Ne parliamo con Donatello Aspromonte e Andrea Molocchi, autori dell’indagine di ECBA Project.

Dal vostro studio emerge una applicazione distorta del principio “chi inquina paga”. In sostanza ci sono settori economici che pagano maggiori imposte rispetto alle esternalità ambientali generate. Come superare quest’iniquità?

Dal nostro studio emerge che le famiglie pagano molto più di quanto inquinano (così anche il macro-comparto dei Servizi con 14,5 miliardi di imposte contro i 9,3 miliardi di costi esterni generati), mentre molti settori industriali pagano meno rispetto al loro impatto ambientale. Il comparto dell’Industria ad esempio paga imposte ambientali che corrispondono ad appena il 41% dei rispettivi costi esterni (5,2 miliardi di gettito nel 2012 contro i 12,8 miliardi di costi esterni generati).

L’approccio di valutazione dei costi esterni, adottato dal nostro studio, permette di evidenziare le incoerenze e la scarsità di relazioni fra l’attuale regime di fiscalità ambientale e i costi esterni derivanti dai consumi energetici e dalle altre attività inquinanti dei settori economici. In molti casi di imposte ambientali, come ad esempio per l’accisa sull’elettricità, il fisco non adotta il principio “chi inquina paga” bensì quello dell’”utente paga”. In realtà non è l’utente a decidere sulle modalità più idonee per produrre l’energia elettrica, non ha alcun senso far pagare un’imposta ambientale ad un soggetto che, pur usufruendo di un servizio, non ha la titolarità decisionale per ridurre gli effetti ambientali della produzione di quel servizio. Va a finire che l’utente paga l’imposta anche per la quota di rinnovabili che concorre alla produzione di elettricità.

C’è stata secondo voi fino ad oggi una informazione adeguata sui costi ambientali? In caso di risposta negativa in quale settore c’è stata maggiore disinformazione e quali sono i soggetti che hanno avuto maggiori responsabilità?

Nel dare una risposta a questa domanda, occorre considerare che i costi ambientali sono sostenuti innanzitutto da noi stessi, cittadini esposti all’inquinamento nella vita di ogni giorno, oltre che nello stesso tempo contribuenti e imprenditori o lavoratori. E’ inutile quindi nascondere i costi ambientali dietro interessi economici prevalenti, perché ormai c’è una consapevolezza diffusa della popolazione a cui le imprese e lo Stato devono dare delle risposte. Finché il primo inadempiente sarà lo Stato non si potrà mai diffondere la cultura tecnica della valutazione dei costi esterni ambientali e le altre professionalità riguardanti la misurazione del benessere collettivo. Ci riferiamo in particolare all’importante riforma per l’efficientamento della spesa pubblica in conto capitale delle amministrazioni centrali, realizzata dal Dlgs 228/2011 e dal DPCM 3 agosto 2012, che hanno introdotto precisi obblighi valutativi nella programmazione degli investimenti pubblici, e il ricorso sistematico all’analisi costi benefici nella valutazione di fattibilità dei progetti e nella prioritarizzazione delle opere. Siccome analizzare i costi e i benefici in un’ottica di utilità collettiva significa tener conto anche dei costi esterni e dei benefici ambientali delle opere pubbliche, la mancata attuazione di questa riforma si traduce in costi per la collettività che potrebbero essere evitati. Ad es. come trovare le risorse necessarie per gli investimenti per la riduzione del rischio idro-geologico se non si valutano i benefici ambientali attesi degli investimenti programmati?

Un segnale di attivazione dello Stato in questo campo è essenziale non solo per la pubblica amministrazione, ma anche per gli investimenti dei privati, che potrebbero finalmente disporre di parametri precisi di benessere collettivo per lo sviluppo progettuale delle iniziative, favorendo la riduzione del contenzioso sulle opere e migliorando la redditività attesa dei progetti.

Quali sono gli aspetti che il governo dovrà considerare  nell’introduzione di fiscalità cd ambientali e quali nella revisione della disciplina delle accise  sui  prodotti energetici e sull’energia elettrica? Quanto sarà importante una valutazione dei danni prodotti e quali sono gli strumenti di valutazione?

E’ necessario un ripensamento dei criteri di imposizione fiscale in campo ambientale, ma per poter fare questo lo Stato si deve dotare di un meccanismo di monitoraggio dei costi esterni ambientali che attualmente non esiste. Lo Stato, infatti, sa quanto guadagniamo – e sulla base di questa informazione modula i livelli di imposizione fiscale ordinaria – ma non sa quanto inquiniamo. Quest’ultima informazione è essenziale per un sistema equo di fiscalità ambientale, che colpisca le attività e l’utilizzo delle risorse in relazione ai costi esterni ambientali generati. In linea generale, non potrà esserci equità fiscale senza una specifica conoscenza degli impatti ambientali associati alle diverse imprese e senza un’assoluta trasparenza nelle modalità di determinazione delle basi imponibili sulle quali calcolare le imposte ambientali. E’ indispensabile che si sviluppi sempre di più, anche nel nostro Paese, un filone di studi sulla valutazione delle esternalità ambientali, così come accade nei Paesi europei più avanzati da oltre due decenni.

La tassazione ambientale modificherà l’assetto del mercato?

Potrebbe modificarlo in maniera positiva, dando finalmente applicazione al principio del chi inquina paga, attualmente disatteso. Basti considerare che, sulla base dei dati della nostra indagine, il gap di copertura dei costi esterni da parte del gettito della fiscalità ambientale nel complesso dell’industria manifatturiera, pari a circa 4,1 miliardi di euro, è dovuto principalmente ad un insieme di quattro settori, che complessivamente contribuiscono al valore aggiunto della manifattura per il 13,7% e ai redditi da lavoro dipendente per il 14,5%. In altri termini, tali settori presentano un valore del gettito ambientale largamente inferiore alle esternalità ambientali dagli stessi generati, a scapito di gruppo maggioritario composto da dieci settori manifatturieri (che complessivamente contribuisce al 65,9% del valore aggiunto nazionale e al 68% dei redditi da occupazione), sottoposto ad un carico del fisco ambientale notevolmente superiore ai costi esterni direttamente generati.

Con riferimento a questa situazione, fortemente iniqua, la riforma della fiscalità ambientale può operare in maniera efficace a sostegno della riduzione della fiscalità generale e di rilancio di una crescita più sostenibile: innanzitutto la rimodulazione delle basi di imposizione in maniera più mirata avrebbe un effetto diretto di disincentivo delle attività inquinanti delle imprese e di consapevolezza su dove migliorare; in secondo luogo il maggior gettito ambientale proveniente dai settori più inquinanti potrebbe essere utilizzato per la tanto invocata riduzione delle imposte sul lavoro, fattore produttivo essenziale per tutti settori economici; infine, una parte del gettito potrebbe essere utilizzata per finanziare gli interventi di miglioramento ambientale delle stesse imprese, rilanciando in questo modo gli investimenti nelle fonti di energia rinnovabile, di efficienza energetica e nelle infrastrutture per i carburanti alternativi per i trasporti riconosciuti dall’Unione Europea, ovvero gli assi della politica europea al 2050. Insomma, la riforma della fiscalità ambientale può far prendere “tre piccioni con una fava”. Non male, vero?

Quali settori avranno maggiori vantaggi e quali invece dovranno sopportare costi maggiori?

Il quadro degli effetti complessivi della riforma sui settori economici dovrà essere valutato dal Governo con attenzione. La nostra modellistica può essere di supporto a questo processo. Per il momento abbiamo analizzato il potenziale gettito di imposte ambientali gravanti su specifici inquinanti, quali ad esempio la carbon tax e la tassa sulle emissioni di SO2 e NOx, entrambe incluse nella delega di riforma della fiscalità ambientale. In base alle nostre stime, il gettito complessivo di una tassa sulla CO2 – includendo anche, in termini equivalenti, il metano e il protossido di azoto – potrebbe raggiungere in Italia i 13 miliardi di euro, di cui 10,1 a carico delle imprese. L’estensione della tassa sulle emissioni di SO2 e NOx a tutti i settori che sono causa di queste emissioni, potrebbe portare ad un incremento del gettito dagli attuali 14 milioni di euro, corrisposti per il momento dalle sole centrali elettriche, a ben 10,1 miliardi di euro, con un incremento di gettito di 700 volte. In quest’ipotesi, il gettito per il settore dell’energia elettrica e gas dovrebbe aumentare dagli attuali 14 a 645 milioni di euro. Il resto dovrebbe andare a carico degli altri settori, prevalentemente interni al comparto manifatturiero e a quello dei trasporti e logistica. Inoltre, una tassa ambientale sulle polveri sottili (PM2,5), potrebbe ambire ad un gettito complessivo da tutti i settori di ben 17 miliardi di costi esterni. Il Governo dovrà confrontarsi con la questione delle imposte ambientali già gravanti su imprese e famiglie, costituite da imposte sull’energia, sui veicoli e altre imposte sull’inquinamento. Come detto, in base ai nostri dati, molti settori dell’economia italiana presentano esternalità associate alle emissioni inferiori al gettito complessivo dell’attuale fiscalità ambientale.

Quanto e in che modo cambierà l’approccio alla tutela ambientale?

Riteniamo che una riforma fiscale in chiave ambientale presenti tutti i presupposti per indurre un cambio di paradigma sostanziale: attraverso l’adozione di un sistema fiscale ambientale che consideri come base impositiva le esternalità ambientali generate dalle specifiche attività produttive, le imprese inizierebbero autonomamente a valutare le proprie prestazioni ambientali in chiave integrata con i dati di bilancio. Inoltre la destinazione di almeno parte del gettito per il finanziamento degli investimenti di miglioramento ambientale potrebbe innescare un’importante spinta al miglioramento delle competitività delle imprese stesse, ricorrendo in maniera sostenibile alle fonti rinnovabili offerte dal territorio e investendo su una maggior efficienza nell’uso delle risorse più impattanti. Siamo ad un punto di svolta epocale e le opportunità offerte dalla delega fiscale sono tante. Speriamo che non vengano sprecate.

domenica 30 marzo 2014

AGGIORNAMENTO NORMATIVO AL 30 MARZO 2014

- Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 45
Attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi. (GU n.71 del 26-3-2014);
-Testo coordinato del Decreto-Legge 23 dicembre 2013, n. 145
Testo del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 300 del 23 dicembre 2013), coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015.». (GU Serie Generale n.43 del 21-2-2014);
-Testo Coordinato del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136
Testo del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 289 del 10 dicembre 2013), coordinato con la legge di conversione 6 febbraio 2014, n. 6 (in questa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate.». (GU n.32 del 8-2-2014);
- Decreto 5 febbraio 2014
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Rettifica al decreto 16 dicembre 2013, relativo a specie di uccelli incluse nell'allegato B al regolamento (CE) n. 338/97 e successive attuazioni e modificazioni, facilmente e comunemente allevate in cattivita', il cui prelievo in natura risulta, in base ai dati disponibili, non significativo. (GU n.35 del 12-2-2014);
-  Decreto 3 febbraio 2014
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Modifica al decreto 25 febbraio 2011, recante definizione delle procedure per il riconoscimento di idoneita' dei prodotti assorbenti e disperdenti da impiegare in mare per la bonifica dalla contaminazione da idrocarburi petroliferi. (GU n.41 del 19-2-2014);
- Regolamento (UE) n. 133/2014
Regolamento (UE) n. 133/2014 della Commissione del 31 gennaio 2014 che modifica, ai fini dell’adeguamento al progresso tecnico riguardo ai limiti di emissione, la direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) n. 595/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (UE) n. 582/2011 della Commissione (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L47 del 18.2.2014);
- Raccomandazione 2014/70/UE
Raccomandazione 2014/70/UE della Commissione del 22 gennaio 2014 sui principi minimi applicabili alla ricerca e la produzione di idrocarburi (come il gas di scisto) mediante la fratturazione idraulica ad elevato volume (G.U.U.E. L39 dell'8.2.2014);
- Decreto 15 gennaio 2014
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Modifiche alla parte I dell'allegato IV, alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante: «Norme in materia ambientale». (GU Serie Generale n.33 del 10-2-2014);
- Decreto-Legge 30 dicembre 2013, n. 151
Disposizioni di carattere finanziario indifferibili finalizzate a garantire la funzionalita' di enti locali, la realizzazione di misure in tema di infrastrutture, trasporti ed opere pubbliche nonche' a consentire interventi in favore di popolazioni colpite da calamita' naturali. (GU n.304 del 30-12-2013);
- Decreto-Legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Milleproroghe 2013)
Proroga di termini previsti da disposizioni legislative. (GU n.304 del 30-12-2013);
- Decreto 23 dicembre 2013
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Criteri ambientali minimi per l'acquisto di lampade a scarica ad alta intensita' e moduli led per illuminazione pubblica, per l'acquisto di apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e per l'affidamento del servizio di progettazione di impianti di illuminazione pubblica - aggiornamento 2013. (GU n.18 del 23-1-2014 - S.O. n. 8);
- Decreto 13 dicembre 2013
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di gestione del verde pubblico, per acquisto di Ammendanti - aggiornamento 2013, acquisto di piante ornamentali e impianti di irrigazione (Allegato 1) e forniture di attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio - aggiornamento 2013 (Allegato 2). (GU n.13 del 17-1-2014);
- Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 dicembre 2013
Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l'anno 2014. (GU n.302 del 27-12-2013 - S.O. n. 89);
- Regolamento (UE) n. 1272/2013
Regolamento (UE) n. 1272/2013 della Commissione del 6 dicembre 2013 recante modifica dell’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) per quanto riguarda gli idrocarburi policiclici aromatici (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L328 del 7.12.2013);
- Direttiva 2013/59/EURATOM
Direttiva 2013/59/EURATOM del Consiglio del 5 dicembre 2013 che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom (G.U.U.E. L13 del 17.01.2014);
- Raccomandazione 2013/711/UE
Raccomandazione 2013/711/UE della Commissione del 3 dicembre 2013 sulla riduzione della presenza di diossine, furani e PCB nei mangimi e negli alimenti (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L323 del 4.12.2013);
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Regolamento recante i criteri tecnici per l'identificazione dei corpi idrici artificiali e fortemente modificati per le acque fluviali e lacustri, per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del medesimo decreto legislativo. (GU n.10 del 14-1-2014);
-Regolamento (UE) n. 1257/2013
Regolamento (UE) n. 1257/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013 relativo al riciclaggio delle navi e che modifica il regolamento (CE) n. 1013/2006 e la direttiva 2009/16/CE (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L330 del 10.12.2013);
- Decreto 11 novembre 2013, n. 140
Ministero della Salute. Regolamento recante aggiornamento al decreto del Ministro della sanita' 21 marzo 1973 recante: "Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili destinati a venire a contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale" limitatamente agli acciai inossidabili. (GU n.294 del 16-12-2013);
- Decreto 9 ottobre 2013, n. 139
Ministero dello Sviluppo Economico. Regolamento concernente specifiche procedure autorizzative, con tempistica accelerata ed adempimenti semplificati, per i casi di realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili in sostituzione di altri impianti energetici, anche alimentati da fonti rinnovabili. (GU n.294 del 16-12-2013);
- Decreto 7 ottobre 2013
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Adozione e approvazione del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti. (GU Serie Generale n.245 del 18-10-2013);
- Regolamento (UE) n. 715/2013
Regolamento (UE) n. 715/2013 della Commissione del 25 luglio 2013 recante i criteri che determinano quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (G.U.U.E. L201del 26.7.2013);
- Direttiva 2013/35/UE
Direttiva 2013/35/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (ventesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) e che abroga la direttiva 2004/40/CE (G.U.U.E. L179 del 29.6.2013) ;
- Decreto-Legge 21 giugno 2013, n. 69
Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia. (GU Serie Generale n.144 del 21-6-2013 - Suppl. Ordinario n. 50);
- Direttiva 2013/30/UE
Direttiva 2013/30/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L178 del 28.6.2013);
- Regolamento (UE) n. 576/2013
Regolamento (UE) n. 576/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013 sui movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che abroga il regolamento (CE) n. 998/2003 (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L178 del 28.6.2013);
- Decreto-Legge 4 giugno 2013, n. 61
Nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale. (GU n.129 del 4-6-2013);
- Decreto-Legge 4 giugno 2013, n. 63
Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell'edilizia per la definizione delle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, nonche' altre disposizioni in materia di coesione sociale. (GU n.130 del 5-6-2013);
- Regolamento (UE) n. 525/2013
Regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 relativo a un meccanismo di monitoraggio e comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra e di comunicazione di altre informazioni in materia di cambiamenti climatici a livello nazionale e dell’Unione europea e che abroga la decisione n. 280/2004/CE (Testo rilevante ai fini del SEE) (G.U.U.E. L165 del 18.6.2013).


domenica 21 luglio 2013


“Disastro ambientale”.

Il dlgs. 152/2006 non contiene fattispecie volte a incriminare le ipotesi più gravi di inquinamento ambientale, per cui per perseguire condotte illecite di eccezionale gravità (es. massiccia contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi, oppure nei casi più conosciuti quali la nube tossica di Seveso, inquinamento causato dal petrolchimico di Marghera, caso Ilva di taranto) si ricorre a disposizioni del codice penale, altrimenti tali condotte rimarrebbero prive di sanzioni. Tra le varie norme codicistiche ha trovato applicazione il disastro c.d. innominato, art. 434 e 449 c.p. nelle forme rispettivamente dolosa e colposa. L’art. 434 c.p. ha la funzione di norma complementare e di chiusura dei delitti contro la pubblica incolumità “dei delitti di comune pericolo mediante violenza” e incrimina “chiunque fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare i crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro…se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”. La pena nell’ipotesi dolosa è della reclusione da uno a cinque anni, da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene. L’ipotesi colposa è punita con la reclusione da 1 a 5 anni.

Dottrina.

Una parte della dottrina non ritiene che il disastro ecologico abbia le caratteristiche strutturali del disastro innominato, infatti quest’ultimo richiederebbe una condotta violenta di carattere istantaneo e non sarebbe applicabile ad un bene quale l’ambiente a consistenza indeterminata e immateriale diverso dal bene della pubblica incolumità protetto dall’art. 434 c.p.  

Carlo Ruga Riva sostiene invece che la violenza, intesa come condotta non fraudolenta caratterizzata dall’impiego di energia fisica  è compatibile con talune modalità di disastro ecologico caratterizzate dalla reiterazione di condotte che a distanza di tempo concretino un inquinamento di dimensioni straordinarie (accumuli prolungati di rifiuti pericolosi con inquinamento della falda acquifera in zona abitata). Essendo “l’ambiente tutelato non in sé, ma nelle sue componenti (aria, acqua, suolo) spesso strumentale alla tutela della salute umana, nel reato in esame il referente offensivo dovrà essere ricercato nelle diverse definizioni di inquinamento e nei loro effetti sulla salute delle persone”.

Condotta ed evento, pur essendo gli elementi costitutivi di un unico fatto rilevante possono essere temporaneamente distanti come peraltro ribadito nella vicenda del Petrolchimico di Marghera. Il disastro innominato non comprende solo eventi di grande immediata evidenza che si verificano in un arco di tempo ristretto, ma anche quelli non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi i un arco di tempo molto prolungato e che pure producono effetti tali da poter affermare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità.

Giurisprudenza.

Luca Ramacci ritiene che la giurisprudenza di legittimità  abbia invece considerato in più occasioni la figura del disastro ambientale  non manifestando alcuna incertezza circa la sua astratta configurabilità.

Cass. Sez. I n. 40330/2006 illecito smaltimento di rifiuti effettuato con modalità tali da porre in pericolo la pubblica incolumità. Al fine della configurabilità del disastro ambientale colposo è necessario “un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità straordinariamente grave e complesso, bastando che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone e che l’eccezionalità della dimensione dell’evento desti un senso di allarme, senza che il fatto abbia direttamente prodotto la morte o lesioni di persone, ben potendo colpire anche le cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva. La Corte inoltre rileva come la nozione di disastro ambientale e di danno ambientale si identificano quando l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo.

Cass. Sez. III n. 9418/1988  massiccia contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. Il disastro ambientale “comporta un danno, o un pericolo di danno, ambientale di eccezionale gravità non necessariamente irreversibile, ma certamente no riparabile con le normali opere di bonifica. La tesi difensiva aveva escluso la sussistenza degli elementi materiali del reato di disastro innominato in ragione della mancata verifica dell’impossibilità di bonifica che avrebbe rappresentato l’elemento distintivo tra disastro e danno ambientale.    

Cass. Sez. n. 46189/2011 nel definire il delitto di disastro innominato come reato di pericolo a consumazione anticipata, che si perfeziona con la condotta di immutatio loci, idonea a mettere in pericolo l’ambiente, lo stesso si realizza “quando il pericolo concerne un danno ambientale di eccezionale gravità, seppure con effetti non necessariamente irreversibili qualora venga a verificarsi, in quanto il danno provocato potrebbe pur sempre essere riparabile con opere di bonifica”. L’esigenza di bonifica non potrà di per sé rappresentare prova del disastro, essendo conseguenza possibile di ogni contravvenzione in tema di acque, aria e rifiuti. L’assenza di inquinamento attuale idoneo a far scattare l’obbligo di bonifica sembra certificare una situazione non disastrosa. Comunque la reiterazione delle condotte ed una precedente condanna per il medesimo delitto sono state ritenute dimostrative della consapevolezza, in capo all’imputato, del pericolo per la pubblica incolumità derivante dalla sua condotta, concretatasi nella reiterata, abusiva attività estrattiva da una cava con alterazione d corsi d’acqua, inondazioni, infiltrazioni, instabilità ambientale e pregiudizio per la dinamica costiera.

  

La Corte Costituzionale nella sent. 327/2008 fornisce una interpretazione che consente di salvare la fattispecie di disastro innominato da censure di illegittimità per contrasto con il principio di determinatezza pertanto i “veri” disastri ecologici sono assimilabili nella fattispecie di crollo di costruzione o ad altro disastro, a patto che si interpreti come accadimento di dimensioni straordinarie atto a produrre “effetti dannosi gravi, complessi ed estesi” idoneo a causare un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.  

La sentenza termina “è tuttavia auspicabile che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato –e tra esse l’ipotesi del disastro ambientale ”formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell’ottica dell’accresciuta attenzione alla tutela ambientale ed a quella dell’integrità fisica e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose”.


Rosanna Carbotti

martedì 7 maggio 2013

TARES: Circolare 29 aprile 2013

Il Ministero dell’economia e delle finanze ha dato importanti chiarimenti in merito all’applicazione delle disposizioni recate dall’art. 10 del D. L. n. 35 dell’8 aprile 2013, in materia di tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). 
per consultare la circolare clicca qui
lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.